Vocazione di San Matteo: da esattore delle tasse a discepolo di Cristo
Nella chiesa di San Luigi, a Roma, vennero esposte tre opere commissionate da Mathieu Cointrel all’artista Michelangelo Merisi, meglio conosciuto come Caravaggio. Le opere ritraevano i tre momenti focali della vita di San Matteo. A sinistra l’opera “Vocazione di San Matteo”, al centro “San Matteo e l’angelo”, infine a destra “Il martirio di San Matteo”. Tutte e tre le opere sono rappresentate sotto una luce specifica, che mette in risalto il momento esatto, ma sono i toni più scuri i colori dominanti a incorniciare gli eventi. In particolare, in questo articolo, ci soffermeremo ad analizzare il primo quadro, realizzato tra il 1599 e il 1600, importante perché rappresenta il momento esatto in cui Gesù, accompagnato da San Pietro, entra da destra nella scena per annunciare la chiamata, l’invito alla predicazione, dunque la conversione di Matteo da repubblicano (colui che riscuote le tasse ed imposte della società romana) ad apostolo, nonché seguace del Salvatore.
Il luogo che ospita la scena è piuttosto spoglio ma ampio, gli elementi che lo compongono sono semplici, danno l’idea di come si distribuisce lo spazio grazie alla loro collocazione. La finestra in alto possiede un solo scuro, aperto, annerito e opaco; nella fascia sottostante due figure in piedi sulla sinistra indicano proprio Matteo, seduto assieme ad altri uomini. Si tratta di Gesù, poco più indietro e San Pietro, non storicamente presente nelle scritture durante la chiamata a Matteo, ma intenzionalmente inserito da Caravaggio per simboleggiare la Chiesa nell’atto della conversione. Inoltre è riconoscibile dal momento che viene collocato tra Matteo e Gesù, come sulla terra il Papa è l’elemento d’interlocuzione tra gli uomini e Dio.

I due personaggi sono differenziati dagli altri non solo per elementi particolari, come l’aureola leggermente abbozzata e posta sul capo di Gesù, ma anche dagli abiti antichi in contrasto con quelli popolani tipicamente seicenteschi (ciò per rendere il tutto più realistico) e per la distanza tra i due gruppi distinti. Il viso di Cristo è sereno, sicuro, per questo indica senza timore un uomo preciso, sa di non trovarsi in errore. Il gesto della mano, la posizione delle dita è molto simile all’opera di Michelangelo: “Creazione di Adamo”, volutamente riprodotto per rivelare un senso di ammirazione, profonda stima e interesse nei confronti del talento e dell’artista Buonarroti. Pietro invece, dipinto di schiena, indica anch’esso Matteo, ma con fare incerto, non sicuro che un futuro santo possa trovarsi proprio lì, in un posto così buio e “lontano” dal sacro.
Spostandosi verso destra lo spazio si riempie. Ad un tavolo, seduti su panche di legno, sono presenti cinque uomini. Il primo, davanti, ha il volto coperto dai capelli scuri, conta avidamente il guadagno della giornata, il secondo, visibilmente più anziano, lo controlla. Gli ultimi tre invece, si rendono conto dell’entrata in scena delle due figure sacre e prestano attenzione. L’uomo in mezzo, con la barba e il basco sul capo, si presume possa essere Matteo, giacché con la mano rivolge un cenno a sé stesso come per dire “Dite a me?”, in più non sembra interessato al denaro, portatore di malessere, astio e tristezza. Per altri invece sorge l’ipotesi che, invece, Matteo sia il ragazzo seduto a capotavola, su di una sedia con la spalliera ricurva: un ragazzo giovane dal viso sereno. Gli ultimi due individui sono giovani, vestiti bene e dai colori più accesi.
Abbiamo parlato dell’oscurità della scena, dello spazio riempito dalle posture, ma ora parliamo della luce… Il dipinto è diviso in due parti: la parte sottostante, in cui si svolge la vicenda, sviluppata da destra a sinistra e la parte sopra, il cui elemento principale è un cono di luce. Quest’ultima non proviene dalla finestra aperta, bensì si tratta della luce divina che scende sulla Terra simboleggiando la misericordia che dall’alto dei cieli entra da destra assieme a Cristo. Perché proprio da destra? Per rappresentare appunto il posto del Figlio a fianco del Padre celeste. L’illuminazione non è reale in quanto vengono evidenziate solo particolari espressioni, per mettere in luce il senso e la vera essenza della vicenda; producendo inoltre un particolare effetto di chiaroscuro.
Caravaggio adotta qui una nuova forma di concepire la sacralità e la sua interpretazione. Il tutto è una degna rappresentazione, presentata però in chiave fortemente realistica, incarnata appunto nella quotidianità e soprattutto nell’umanità del popolo.
Articolo a cura di: Matilda Balboni