Una famiglia moderna
Modern Family non è solo una sitcom.

In questo periodo se vi è capitato di accendere distrattamente la Tv durante la digestione post prandiale, sullo schermo avrete probabilmente trovato una stressata famiglia borghese la quale o ha conquistato la vostra simpatia, oppure ha suscitato il vostro odio e la conseguente scelta di cambiare canale, oppure ancora avete visto Sofia Vergara e da allora alle 16 di ogni pomeriggio siete piazzati di fronte alla Tv.
Chiaramente stiamo parlando della famigerata sitcom “Modern Family”, una serie che ebbe inizio nel 2009 e di cui ultimamente Netflix ha pubblicato l’undicesima stagione. La sitcom segue le vicende che coinvolgono tre nuclei familiari, quello di un imprenditore americano con la seconda moglie colombiana e il figlio adottivo, e quelli dei suoi due figli nati da un precedente matrimonio, Clair con il marito e i loro 3 figli, e Mitchell con il marito e la figlia adottiva.
Chi già conosce la serie sa che essa può essere soggetta a critiche che riguardano la superficialità o l’ostentazione di una certa condizione economica sicuramente al di sopra della media, critiche che a mio parere prendono di mira aspetti del tutto marginali all’interno della serie. È chiaro che se si porta in scena la vita di un borghese, le ambientazioni e anche una parte delle vicende saranno condizionate dal fattore economico, ma protagoniste delle puntate non sono mai le ricchezze materiali, lo sono invece lo stress della quotidianità, le difficoltà nelle relazioni, le emozioni legate ad ogni fascia di età e mille altre sfumature della vita di sempre, sfumature che fanno parte della realtà di ognuno. Infatti Modern Family fa proprio questo: non vuole essere comica, non vuole essere seria, non vuole nemmeno essere per ricchi, essa porta sullo schermo la rappresentazione di come ogni periodo della vita di chiunque, per quanto possa sembrare noioso o banale, ha una grossa importanza all’interno del percorso di crescita di ognuno e che ogni evento, che sia il più negativo o il più felice, porta con sé una lezione e un carico di emozioni inestimabile.
Senza dubbio la scelta di un contesto economico-sociale piuttosto elevato è strumentale a una narrazione che vuole mantenere sempre l’accento sulla sostanziale serenità della vita, risultando al tempo stesso verosimile, non si tratta, ad ogni modo di superficialità, ma di una precisa scelta artistica. In materia di arte e di regia soprattutto, un dettaglio importante è rappresentato dal format della serie, che è girata sotto forma di falso documentario, con movimenti continui della videocamera, sguardi diretti nell’obbiettivo, spezzoni di “confessionale” in cui i personaggi commentano le vicende.
Un altro elemento fondamentale da considerare è l’anno di produzione. Perché? Perché nel 2009 c’erano i cellulari, c’era Facebook, c’era Youtube, come ora certo, ma ci ricordiamo davvero com’era il 2009? Ad esempio non c’era ancora Instagram, “La grande bellezza” non esisteva nemmeno in forma di pensiero, Ratzinger era ancora papa e Bergoglio stava ancora tra i bambini argentini, Greta Thumberg imparava a scrivere l’alfabeto e non esisteva il “me too”... che mondo meraviglio eh?
C’è da dire, però, che il mondo era anche parecchio più arretrato e abbastanza bigotto, si pensi che agli omosessuali non era ancora concessa l’adozione, che sarà consentita solo a partire dal 2015 negli Stati Uniti.
Dunque è importante riflettere anche sul ruolo che una “famiglia moderna” esercita su una società come quella del 2009, una società in cui molti taboo probabilmente non erano ancora totalmente sdoganati. Per questo che, con un anziano che in secondo matrimonio sposa una donna straniera e 20 anni più giovane, una ragazza che fin da bambina è la più intelligente e colta dell’intera famiglia, una coppia gay che adotta una figlia vietnamita per nulla ingenua, un’adolescente sexy e senza filtri, un padre di famiglia più sognatore dei propri figli, e argomenti come sesso e alcol affrontati in famiglia senza timore, Modern Family era ed è la serie che ci serviva e che ci meritiamo.
Articolo a cura di: Miriam Stillitano