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Un filosofo in vacanza

Ieri sera mi è venuta d’improvviso una straordinaria voglia di viaggiare, ma non in maniera convenzionale, bensì senza denaro. Mi è venuto in mente che vivere soddisfacendo tutti i nostri bisogni è di gran lunga meno interessante del campare alla giornata affidandosi alla fortuna, senza pensare al domani. Che si abbia beninteso qualcosa da parte per i casi imprevisti, è naturale. Vagare così alla giornata, alloggiare dove capita, avere un paio di avventure, è una cosa stupenda”.

La Gaia Scienza – Nietzsche



Questa è la stagione dei viaggi, delle partenze, delle valige; di treni e aerei che partono – e che non partono-, di coincidenze; di lunghi itinerari in auto, di passeggiate sotto il sole o al tramonto. È la stagione dei mille luoghi da esplorare ma anche dei vuoti dentro cui lasciarsi ondeggiare. L’estate è la stagione dell’altrove, dell’io che lascia spazio alla meraviglia, dei ritorni colmi di esperienze.


Quando inizia e quando finisce il viaggio? Chi è il vero viaggiatore? E dove si ritorna dopo tanto peregrinare?


L’emblema del viaggio -un po’ per antonomasia- è l’Odiseea: il ritorno di Omero verso Itaca e il racconto delle sue avventure in mare, nonché delle guerre e peripezie senza eguali, altro non sono che una metafora della vita. Il desiderio di lasciare ciò che è noto, l’ambizione della scoperta e le difficoltà della conquista, la nostalgia di luoghi e persone care e il ritorno infine al punto di partenza per scoprire cosa in fondo è rimasto come prima e cosa invece ha ormai assunto colorazioni differenti. Sono il vagare e quel ritorno alle proprie origini -che riecheggia lungo tutto il poema- a radicare il senso dell’esistenza stessa.


Anche i filosofi antichi hanno utilizzato l’immagine del viaggio come allegoria della vita. Parmenidenel suo poema Sulla Natura racconta di un suo viaggio per i cieli, su un carro guidato da cavalle velocissime e diretto verso la dimora al cospetto della dea della giustizia: “Le cavalle che mi portano fin dove il mio desiderio vuol giungere mi accompagnarono, dopo che mi ebbero condotto e mi ebbero posto sulla via che dice molte cose, che appartiene alla divinità e che porta per tutti i luoghi l’uomo che sa. Là fui portato”. Qui il peregrinare è metafora del viaggio alla ricerca di una conoscenza autentica, che abbia il tenore da una legge e che possa essere poi svelata al mondo intero.


Kierkegaard scrive i suoi Stadi lungo il cammino della vita: meditazioni in cui l’associazione tra viaggio e vita, accumunano – svelandolo - quell’ incontenibile bisogno di movimento che è connaturato all’uomo. Il viaggiare è legato quindi alla soggettività mutevole dell’individuo: il viaggio – per così dire - muta il viaggiatore e ogni individuo che parte è un nuovo individuo che ritorna.


Anche Nietzsche, filosofo viandante, ci invita a viaggiare: nella Gaia Scienza sviluppa la metafora dell’uomo vascello che navigando per lunghi viaggi vive il suo mutamento tanto da diventare un estraneo per gli altri uomini-vascello, un tempo suoi amici. Il quesito filosofico sorge spontaneo: l’identità soggettiva è anch’essa oggetto di mutamento? Se il viaggio inevitabilmente muove la soggettività, ne consegue che essa non può essere immutabile: il viaggiatore coglie ogni volta un qualcosa di sé, un proprio lato nascosto che prima ignorava. Il viaggiare nietzschiano provoca un profondo rinnovamento sia nell’individuo che nelle sue relazioni tanto da poter dire che il percorso fallisce il suo scopo quando il ritorno all’origine non porti con sé la sensazione di essere in qualche modo diversi.


Ogni viaggio nasce dunque da un desiderio di cambiamento. Il viaggiatore si mette in marcia e andrà dove un qualche mistero attrae la sua curiosità: per Onfray –nella sua Filosofia del viaggio- trattasi di una chiamata misteriosa, a volte suggerita da uno stimolo, altre volte da una casualità, altre ancora semplicemente da un desiderio di cui non si conosce l’origine. Ogni viaggio, per così dire, inizia ben prima di partire, inizia esattamente nell’istante in cui qualcosa muove dentro di noi e ci indirizza alla ricerca dell’ignoto. E se il viaggio ha quindi inizio prima di preparare la valigia sul pavimento, non può poi semplicemente concludersi nel momento in cui essa deve essere disfatta… forse il veroviaggio non terminerà mai. Rimane il dopo, ovvero racconto e memoria che insieme concorrono a formare ogni esclusivo, personale e irripetibile ricordo: “(…) un’arte di lasciarsi impregnare dal paesaggio e poi una volontà di comprenderlo, di vederne le concatenazioni” (Onfray). Impressioni, sensazioni, immagini, riflessioni, sapori, odori: una stratificazione informe di tutto ciò che l’io curioso riesce a cogliere si fonda nella memoria per svelarne il suo senso solo con il vero peregrinare dell’uomo. Il viaggiatore nel viaggio diventa il viandante nella vita: la continua ricerca di quell’ignota destinazione che è antica quanto l’uomo.


Articolo a cura di: Lisa Bevilacqua

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