Un film che va oltre, in tutti i sensi
I temi di una vicenda sono ciò che ci aiuta a comprenderne il significato, i valori, l’intensità. E a chi si affida il compito di capire le bellezze della vita e il suo mistero? Agli uomini diremmo. Invece non è sempre così, non deve: bisogna rendere partecipi TUTTI coloro che hanno da dire e soprattutto chi ha voglia di farsi incantare, i bambini. L’animazione fa questo, la Disney lo fa, incanta il pubblico (di tutte le età), lo accompagna; qualora, una volta adulti, ci riproponga la stessa pellicola, come la prima volta gli spettatori ne saranno rapiti dal fascino, ma coglieranno anche quel qualcosa in più. Ed è per questo che la Disney dal 1993 e la Pixar 1986, ma dal 2006 parte della Walt Disney Company, ad oggi non hanno mai toppato.

Ma veniamo all’animazione più chiacchierata del momento, “Soul”; dopo le sceneggiature di “Toy Story”, la regia con “Monsters & Co”, “Up” e “Inside Out”, il direttore creativo della Pixar e due volte premio oscar, Pete Docterha, ha colpito ancora. A suon di jazz e assoli di sax, tromboni e pianoforte, scintilla del protagonista Joe Gardner (la cui voce di Neri Marcorè), sono composizioni frutto del celebre musicista Jon Batiste, la cui colonna sonora “ça va sans dire” è curata da Trent Reznor e Atticus Ross dei Nine Inch Nails.
Musica che nasce da un contesto sofferto, per poi evolvere agli inizi del ‘900 in una voce che mescola il nuovo ambiente ai canti africani e diventa il volto di una nuova identità. Ciò che caratterizza il jazz lo ritroviamo in Joe: l’improvvisazione; si va oltre lo studio, è il ritmo che scorre nelle vene e muove il corpo, l’orecchio coordina e poi Bam! Dall’improvvisazione ne esce la composizione che fa acclamare il pubblico. Si parla, dunque, della forza trascinatrice del ritmo, che non è fisica o matematica, ma passione. O ancora il virtuosismo solistico: lo abbiamo visto in numerose scene, il musicista chiude gli occhi, si lascia trasportare e se da una parte dall’esterno, chi ascolta viene ammaliato, dall’interno l’anima viaggia “in bolla” fino ad una dimensione parallela in cui ci si rifugia, evadendo dal reale per dedicarsi a sé stessi.
«Questo film ci porta a chiedere se davvero basta una passione per sentirsi realizzato nella vita. Può sembrare una follia per il pubblico a cui ci rivolgiamo ma Soul si interroga sul senso della vita. E alla Pixar abbiamo la fortuna di poterlo fare in modo divertente per un pubblico trasversale».
(Pete Docterha)
Chi lo ha guardato avrà sicuramente notato la complessità di un tema del genere, le domande che l’uomo si pone durante tutta la vita, quelle che accomunano l’umanità, riguardanti l’ignoto. Effettivamente il film non vuole rivelarci “Cosa c’è dopo”, ci mostra l’ingresso di una sfera di luce, ma non abbiamo idea di cosa si tratti. Infatti l’attenzione principale è posta non tanto sulla differenza tra vita e morte, quanto sul loro coesistere, sull’intrecciarsi e sul senso che gli si dà. C’è da dire, però, che la vita non sarebbe la stessa se ad un certo punto non finisse, almeno su questa terra, e viceversa non ci può essere morte se prima non si ha assaggiato anche per poco la vita.
È proprio questo ciò che Joe, nelle vesti di un improvvisato tutor, cercherà di far capire all’anima 22 (con la voce di Paola Cortellesi). Già, perché dovete sapere che è proprio nei primi dieci minuti che vediamo il primo grande “MA” (il primo ostacolo). Joe Gardner, insegnante e ambizioso musicista jazz, riceve la telefonata che darà una svolta alla sua carriera e alla sua vita, perché è ciò che dichiarerà “vivo per la musica” (come cantava Bocelli), MA cadrà in un tombino e al suo risveglio, il suo corpo altro non sarà che una figura approssimata di ciò che era prima, ma inconsistente, inafferrabile.
Si troverà sulla strada dell’aldilà e, non accettando i fatti, tenterà di evadere, precipitando nel vuoto. Ancora una volta si sveglierà e questa volta si troverà al cospetto dell’“antilà”, soprannominata da entità dai tratti alla Picasso: “Io seminario”. Si tratta del luogo in cui le anime si preparano ad ottenere il pass per accedere alla Terra e quindi alla vita.
Joe e 22 dovranno, dopo una serie di accadimenti, vestire e imparare a pilotare corpi che non gli appartengono: 22 è l’anima che muove il corpo di Joe e quest’ultimo animerà il corpo di un gatto. Qui 22 imparerà cosa significa “vivere”, noterà il suo meravigliarsi crescere e capirà che la Terra è un luogo difficile, ma che ne vale la pena! E ricorderà a Joe ciò che aveva dimenticato, è proprio assaporare l’essenza delle cose, meravigliarsi e interagire con esse, a renderci vivi.
Un film, questo, che meriterebbe molte più parole. Meriterebbe, ad esempio, di soffermarsi sull’incredibile maestria dell’animazione (rendere realistici i tratti e le sensazioni): basti guardare le mani di Joe, affusolate, delicate, tipiche di un pianista. Ma se si raccontasse tutto, poi vi meravigliereste allo stesso tempo prendendone visione? Io credo di sì, ma di tutto lo studio che sta alle spalle di questo capolavoro, ne riparleremo più avanti. Ora spegnete le luci, accendete la magia e lasciatevi coccolare da chi ancora ci sa fare.
Articolo a cura di: Matilda Balboni