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Ucraina: l’arte del monologo e lo schema militare

Un mese di guerra. Un mese di massacri. Bambini, uomini, donne, insomma i cosiddetti “civili” trucidati senza pietà e poi giornalisti, personale medico, volontari, soldati ucraini e russi. La voglia di pace cresce soprattutto nel nostro mondo, nella nostra opinione pubblica, in quell’occidente che spesso ha guardato con occhio distaccato le cosiddette “guerre lontane”, le guerre in cui non ci si immedesima perché oltre alla lontananza ci separa la religione, la cultura, i costumi e forse anche il colore della pelle. Ed ecco allora che oltre agli appelli provenienti da personaggi illustri e dalle istituzioni sempre schierate contro ogni sorta di evento bellico (il Papa e la chiesa, le organizzazioni umanitarie, le associazioni dei pacifisti e tutti gli uomini “di buona volontà”), troviamo una vasta e trasversale schiera di esponenti politici contrari all’invio di armi all’Ucraina poiché questa scelta, a detta loro, “comporta un’escalation del conflitto”. Osservazione ineccepibile e palesemente corretta. Ma come sempre dipende dal punto di vista. Ed a volte chi osserva gli eventi si pone nella posizione, soprattutto ideologica, che più gli aggrada.



Muovendosi, alternando il punto di osservazione, la realtà cambia ed assume significati differenti. Per esempio, ponendosi ad occidente, magari davanti ad uno dei tanti schermi di cui disponiamo, è ovvio che la soluzione migliore sia quella di fermare questo dannato conflitto, senza ma e senza se. Se però ci spostiamo un pò più verso oriente, ma senza uscire dai confini europei, i parametri mutano e la soluzione diventa: combattere per liberare le proprie case, le istituzioni democratiche, il proprio paese, dall’invasore. Andando ancora più ad est la visuale rispetto al mondo occidentale praticamente si capovolge: bisogna combattere fino a sconfiggere e sottomettere un popolo, uno stato sovrano e indipendente; il motivo? Poco importa, ciò che conta è raggiungere l’obiettivo a qualsiasi costo.


A queste considerazioni generali e largamente condivise, si aggiungono poi quelle personali, variegate e più o meno plausibili. Partendo dal presupposto che alimentare una guerra non è mai la soluzione migliore, ho provato così a cambiare punto di osservazione per capire quale fosse la prospettiva migliore per porsi in maniera adeguata davanti allo svolgersi degli eventi.


Il risultato di giorni e giorni passati ad analizzare gli interessi degli attori in campo, le tesi di esperti militari e di geopolitica, le forze impari sul campo di battaglia e le chiacchiere tra amici al bar, è racchiuso in un’immagine metaforica che sintetizza in maniera molto semplice ma efficace la questione e che, alla fine, si trasforma in un paio di domande che mi sono posto e pongo anche a voi.


Vi è mai capitato di camminare per strada ed assistere ad un'aggressione dove da una parte c’è un uomo solo, magari un nostro amico, e dall’altra il fantomatico branco? Ebbene in un situazione del genere cosa sarebbe più opportuno fare: voltarsi dall’altra parte e far finta di nulla, urlare da lontano “pace pace” o avvicinarsi e operare fattivamente per sedare gli animi? Presumo che la maggior parte di noi opterebbe per l’ultima soluzione. Giusto!


Ed a questo punto se il branco non dovesse ascoltare e continuasse imperterrito nella propria azione, vigliacca e criminale, come dovremmo comportarci: voltare le spalle riprendendo la nostra strada lavandocene le mani, continuare ad urlare “pace pace” o dargli una mano intervenendo personalmente e/o fornendogli supporto interpellando le forze dell’ordine?


Non so se esistano altri modi per risolvere una simile controversia, ma se dovessimo scegliere tra una di queste tre opzioni penso che molti di noi, anche in questo caso, opterebbero per l’ultima.

Ecco, credo che proprio quest’ultima opzione possa ampiamente rappresentare l’atteggiamento assunto dall’Europa, e più in generale dalla cultura occidentale, davanti all’evento drammatico che stiamo, nostro malgrado, vivendo ed in cui siamo largamente - e più o meno consapevolmente - coinvolti.


Certo possiamo scegliere, possiamo liberamente spostarci ed occupare il punto di vista che più ci aggrada, esseri liberi di manifestare (civilmente) i nostri pensieri, di scendere in piazza e dire no. In fondo non sto dicendo niente di straordinario. Essere liberi è un nostro diritto, possiamo scegliere da quale parte della storia stare. Ed allora perché sottolineare ciò che è ovvio? Perché ciò che è ovvio oggi non lo era ieri e non lo è tuttora in diverse parti del mondo.


A tal proposito voglio concludere con un estratto del libro di Anna Politkovskaja, giornalista russa libera e indipendente, assassinata a Mosca nel 2006, in un paese dove il potere dello “zar” (in Italia diremmo “boss") così si esprime:


«La sua arte è quella del monologo, il suo schema quello militare: da basso rango ero costretto a non fiatare? Ora che sono in cima alla scala parlo, anzi monologo, e che gli altri fingano d’essere d’accordo con me».


Editoriale a cura di: Antonino Marino

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