Spider-Man: No Way Home – La mia prima esperienza con il Marvel Cinematic Universe (spoiler alert!)
Inizierò con un mea culpa: fino a poche settimane fa, non avevo visto neanche un film di supereroi, men che meno un film Marvel. Ricordo con chiarezza la sensazione di “esclusione” che provai quando, dopo l’uscita di Endgame (2019), tutti attorno a me sembravano parlarne con tutti, con un entusiasmo e una partecipazione dai quali io ero completamente tagliata fuori. Voglio dire, le mie conoscenze sull’argomento si limitavano a ciò che avevo imparato dai meme!

Perciò, quando il mio fidanzato mi ha parlato dell’imminente uscita di Spider-Man: No Way Home, percependo l’aspettativa enorme, non solo sua ma di tutto il web, nei confronti di questo film, ho capito di trovarmi davanti a una seconda possibilità. C’era solo un problema: tutto ciò che sapevo di Spider-Man era che si arrampica sui muri e spara ragnatele. Urgeva prepararmi adeguatamente!
Così, a pochi giorni dal debutto nelle sale di questo attesissimo fenomeno, è iniziato il mio “viaggio spirituale” alla scoperta della filmografia su Spider-Man dal 2000 in poi, sotto la saggia e vigile guida del mio ragazzo. La missione era impegnativa: dovevo recuperare ben sette film in meno di una settimana… È stato difficile, ma ce l’abbiamo fatta!
Tutto ciò era necessario perché No Way Home, ultimo capitolo uscito della trilogia prodotta dai Marvel Studios, è un notevole omaggio al personaggio dell’Uomo Ragno, regalando ai fan di Spider-Man un’esperienza incredibile: il regista Jon Watts porta sullo schermo i personaggi più iconici della filmografia su Spider-Man degli ultimi vent’anni e nel mondo degli Avengers, dunque, confluiscono da altri “universi” (quelli dei film diretti da Sam Raimi e Mark Webb) i villain e gli Spider-Man stessi, tutti portati in scena dagli attori originali. Ciò ha reso possibile per il pubblico veder interagire non solo i vari cattivi tra loro e con lo Spider-Man interpretato da Tom Holland, ma anche i vari Spider-Man (Tom Holland, Toby Maguire, Andrew Garfield) gli uni con gli altri.
La continuità narrativa con le pellicole precedenti è assolutamente coerente, così come la caratterizzazione dei personaggi: non è soltanto il loro aspetto a renderli immediatamente riconoscibili, ma anche la loro personalità, la loro backstory, persino il loro modo di rapportarsi alla scoperta dell’esistenza di altri Spider-Man, simili a loro ma allo stesso tempo diversi (esempio su tutti la sorpresa degli altri due nello scoprire che lo Spider-Man di Toby Maguire è dotato di ragnatele organiche).
Questo “enorme crossover” è l’occasione anche per chiudere alcune questioni lasciate in sospeso: ad esempio, viene data allo Spider-Man di Andrew Garfield la possibilità di riscattarsi per non aver salvato la sua amata, Gwen Stacy, alla fine di The Amazing Spider-Man 2. Rispetto agli altri due film della trilogia, poi, finalmente troviamo un Tom Holland indipendente e maturo, pronto per avere una propria storia, sganciandosi dalle sue figure di riferimento.
Non vi nascondo che ho avuto la pelle d’oca vedendo alcune scene, prima fra tutte quella in cui i tre Spider-Man atterrano vicini, pronti a combattere fianco a fianco, ciascuno con il proprio costume e la propria postura. Ciò che ha reso speciale questa esperienza però è stato il clima di condivisione, di affetto ed emozione che riempiva la sala: tutti eravamo lì con lo stesso spirito, commossi per le varie citazioni, applaudendo per le medesime apparizioni, consapevoli che nei cinema di tutto il mondo sarebbe avvenuto lo stesso.
Articolo a cura di: Alysia Giorgia Voltattorni