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Social World Film Festival 2021, intervista a Silvio Orlando

Aggiornamento: 7 ago 2021

“Per interpretare un ruolo parto dalle mie ferite”


L’attore Silvio Orlando, uno dei grandi padri del cinema nostrano, è stato uno degli ospiti del Social World Film Festival 2021 ed ha ricevuto il premio alla carriera. La kermesse si è svolta nella cornice di Vico Equense, cittadina della penisola sorrentina. Alle nostre pagine ha rilasciato un’intervista in cui ha raccontato i suoi esordi filmici e ha ripercorso alcune delle tappe della sua brillante carriera teatrale e filmica.



Come nasce la sua passione per la recitazione?

“Il mio amore per la recitazione giunge nella mia vita dopo il mio fallimento da musicista, inizialmente suonavo e studiavo il flauto traverso. Dei miei amici mi hanno costretto a recitare, perché bisogna sapere che prima di suonare i pezzi li presentavo e molte persone capirono prima di me il mio talento per la recitazione, soprattutto comica. La prima volta che andai in scena capii che quella era la mia strada, il mio habitat”.


Come lo comprese?

“Semplice! Me ne resi conto perché il pubblico rise. Le loro risate furono la chiave per entrare nel mondo della comicità. Quest’ultima non è solo intrattenimento, è un mezzo potentissimo per far capire tante cose e affrontare discorsi molto seri sulla società. Io ho sempre cercato di arrivare ad un nucleo poetico, io sono sempre stato me stesso”.


Lei nel film “La scuola” per la regia di Daniele Lucchetti ha ricoperto il ruolo del professore Vivaldi, un docente che ha sempre cercato di aiutare gli ultimi del banco, gli insufficienti, quelli che dagli altri colleghi venivano bocciati. Si sente vicino a questi ragazzi anche nella vita reale?

“Il cinema può renderci migliori o peggiori di ciò che siamo nella vita. In quel film sono risultato sicuramente meglio. Ricordo lo slogan di quel film “La scuola italiana funziona solo con chi non ne ha bisogno”. Quella famosa ascensore sociale al quale dovrebbe servire la scuola invece di salire si è fermato. Io ho cercato di assolvere la difficoltà del mestiere dell’attore, è più politico di quanto si possa immaginare. Io parto sempre dal mio vissuto, dalla mia storia, dalle ferite che cerco di condividere con gli spettatori. Ho scoperto che spesso che chi è seduto in sala nutre gli stessi dolori che interpretiamo o viviamo: è questo che ci unisce”.


Il suo personaggio nel film “Lacci” di Daniele Lucchetti afferma che per restare insieme tutta la vita bisogna parlare il minimo indispensabile. Lei, in un’era basata sulla comunicazione, si trova d’accordo con questa filosofia di vita?

“Andrebbe chiesto a mia moglie, non è proprio una taciturna! (ride, ndr). Questa è una visione espressa dall’autore del libro da cui è tratto il film, ossia Domenico Starnone. Ciò che più mi colpisce della sceneggiatura del film è che i figli sono diventati peggio dei genitori, pur odiandoli durante la tenera età. Starnone sostiene che chi desidera una cura deve andare in farmacia, mentre la letteratura deve creare disagio. Mi trovo d’accordo con questo pensiero”.


Nei prossimi mesi uscirà nelle sale cinematografiche “Ariaferma”, film di Leonardo Di Costanzo che vede protagonisti lei e Toni Servillo. Questa è la prima volta che collaborate. Ci può svelare qualcosa in più?

“Sì, è un derby Napoli-Caserta! Doveva succedere prima o poi, infatti è accaduto. Questo film è un piccolo miracolo, ci ha diretto con potenza, la sceneggiatura prende posizioni molto forti sul tema del carcere. Non può risultare solo il luogo della vendetta, deve essere anche un’occasione per riflettere. Vi è una denuncia sulle dinamiche delle carceri italiane. Amo il cinema impegnato socialmente. La gente non nasce detenuta”.



Chi è uno dei registi più esigenti che ha incontrato durante la sua carriera?

“Ho sempre lavorato con registi esigenti ma penso che il mio punto di arrivo sia Paolo Sorrentino. La mia esperienza con lui in The Young Pope è stata un sogno, uno dei più bei regali cinematografici, i dialoghi scritti da lui mi hanno regalato le più belle parole. Contemporaneamente è stata una delle esperienze più lunghe e stressanti”.


Articolo a cura di: Emanuela Francini



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