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Schang-Chi e la leggenda dei dieci anelli

Dopo l’uscita nelle sale di Black Widow di Cate Shortland, il primo settembre è toccato a Schang-Chi e la leggenda dei dieci anelli: il secondo film inerente alla quarta fase della Marvel Cinematic Universe, diretto da Destin Daniel Cretton.



Si tratta di una pellicola diversa dalle altre proposte dalla grande casa di produzione, il metodo di combattimento, l’ambientazione e i dialoghi seguono una scia sottile, apparentemente semplice ma il cui sottotesto non solo segue una tradizione in modo accurato, ma la propone sottolineandone i pilastri e l’essenza.


La storia ha inizio con la voce di una narratrice che racconta la leggenda dei dieci anelli e dell’uomo che indossandoli scatenò guerre e panico, alimentando una continua sete di limiti da oltrepassare. Fino a quando, dopo aver battuto le leggi del tempo e della Terra, si imbatte in una realtà diversa, magica, che sa tener testa al suo immenso potere.


Ci troviamo dinnanzi ad una pellicola di genere “cappa e spada”, un genere tipicamente narrativo diffuso tra il 1800 e il 1900 che consiste nel mettere in scena combattimenti vivi e ricchi di suspense. In questo caso però è l’oriente, in particolare la Cina, il meraviglioso sfondo e dunque la tradizione si fa carne dando movimento ai corpi. Il combattimento corpo a corpo è quasi impercettibile sicché si fa fede alle tipiche arti marziali, in questo caso si fronteggiano wushu e tai-chi. Il Wushu è la più antica tra le arti marziali dalla quale derivano tutte le altre, anche conosciuta come Kung Fu: letteralmente “arte marziale” che unisce il classico combattimento fisico ad una preparazione religiosa, culturale e psicologica attraverso un’interpretazione di tipo filosofico nei confronti del mondo e ad una concezione profonda e consapevole della salute. Il tai-chi (tai “supremo” – chi “principio”) invece è una disciplina orientale diffusasi in occidente principalmente attraverso il mondo cinematografico: coinvolge anch’esso mente e corpo, ma si lega al taoismo, adottando come elementi fondamentali l’energia e l’equilibrio (interni ed esterni). Due tecniche antiche, l’eleganza del movimento contro un’azione che verge sulla potenza, il bene e il male che, proprio secondo la filosofia taoista si basa sulla presenza di uno nell’altro e viceversa: una dualità continua che però si completa.



Inoltre è ben inserito il mondo fantasy, presente sin dall’inizio, poco prima della rivelazione chiave dell’identità della narratrice: madre del protagonista, moglie assassinata del “nemico” e chiave di un mondo inaccessibile in assenza di una guida o un segreto svelato.


Qui il nemico altro non è che un uomo ferito, ed ecco che spicca l’umanità in una realtà di supereroi e arti di ogni genere. Il male non è inarrestabile proprio perché è l’amore a smuovere il desiderio di vendetta e un amore altrettanto forte (quello paterno) sarà altresì potente da mutare l’odio represso in una nuova consapevolezza, lasciando le redini di un potere che stava mandando in fumo il ricordo e una Terra preziosa. Così il padre ricoprirà finalmente quel ruolo perduto, lascerà l’eredità (i dieci anelli) al figlio, affinché possa sconfiggere il vero “male”, quello oscuro, deviato e totalmente irrazionale… che forse non può essere mutato, ma che si può battere, coordinando la propria forza al potere della propria mente.


Articolo a cura di: Matilda Balboni



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