Riforma della serie D e valorizzazione dei giovani
Non è un argomento nuovo, non è una discussione nata da poco, eppure se ne parla ancora troppo poco. Atteggiamento decisamente omertoso, tipico italiano, di quando il danno non è a danno della percentuale maschile della popolazione. Gender pay-gap è una definizione inglese che indica la disparità salariale, a parità di mansione e ore di lavoro, tra uomini e donne.

Dopo il flop della Nazionale per la mancata qualificazione ai Mondiali di calcio in Qatar 2022 si sono aperte molte discussioni sulle possibili riforme da applicare nei campionati, per apportare una miglioria al calcio italiano.
Il calcio, come ogni cosa all’interno del nostro mondo iperglobalizzato, è in continuo movimento, e ogni protagonista è costretto ad aggiornarsi per non rimanere indietro. Il dibattito sui settori giovaniliconquista sempre ampi spazi all’interno dell’opinione pubblica, per via delle continue lamentele nei confronti dell’apparente mancanza di giovani talenti. Uno dei principali problemi è la mancanza di fondi da destinare alle società dilettantistiche e questo evidenzia ancora una volta l’eccessiva privatizzazione.
Ma, anche allontanandoci dalle finanze e dall’economia, un altro aspetto imprescindibile da considerare è la distanza esistente tra società importanti, delle massime serie e realtà locali. Troppo pochi gli osservatori ed eccessivamente numerose, al contrario, le “scuole calcio” mal strutturate, in cui a prender quota non è il talento dei ragazzi bensì un becero campanilismo. Una nota positiva da evidenziare è, però, l’obbligo di utilizzo dei cosiddetti “under” (4 per la Serie D) durante le partite di campionato.
La riforma dei campionati era stata inizialmente pensata per la riduzione dei club professionisti (attualmente ben 100) con la creazione di un nuovo contenitore, una sorta di Serie D “élite” che attutisse il drastico taglio. Questa nuova Serie D prevederebbe 4 gironi da 20 squadre ciascuno. La nuova struttura dei campionati porterebbe con sé anche una revisione del numero di squadre retrocesse ed un risparmio sul fondo “paracadute” per chi cade in Serie B, da reinvestire poi su tutti i campionati fino alla nuova Serie D. I tentativi ragionati di risoluzione del problema sul fronte economico rischiano di risultare inutili se non accompagnate da altre misure che obblighino le squadre professioniste a investire nella ricerca di giovani talenti.
È da segnalare, tra queste, un’iniziativa intrapresa da qualche anno dalla Lega Nazionale Dilettanti e dal Dipartimento Interregionale dal nome “Giovani D valore”, in cui sono stati stanziati 450mila euro da destinare alle squadre che maggiormente fanno giocare i loro giovani durante la prima frazione di gioco.
La valorizzazione dei giovani, però, deve avvenire soprattutto sui principali palcoscenici. Era stata data alle squadre di Serie A la possibilità di fondare una seconda squadra (la famosa “under 23”) per colmare il gap tra Primavera e prima squadra, da inserire nel campionato di Serie C. Questa opportunità è stata sfruttata solamente dalla Juventus per ragioni essenzialmente economiche, anche se il tentativo può dirsi quasi fallito al momento, vista l’assenza di giocatori integrati in prima squadra provenienti dall’under 23. Bisogna aggiungere che l’under 23 della Juventus ha comunque prodotto due talentini che attualmente stanno facendo un bel percorso in Serie B: Nicolò Fagioli e Hans Nicolussi Caviglia.
La Serie D, la serie C, forse ancor di più della Primavera, possono essere delle buone opportunità per permettere ad un giovane di formarsi, ma a che scopo se il passaggio alle categorie superiori avviene tardi? Spesso la crescita di un calciatore avviene grazie al confronto con avversari di alto livello. Se l’approdo nella massima serie è tardivo, anche lo sviluppo del giovane lo sarà. Ed è questo un concetto di cui fin troppi siamo consapevoli e che il soldo fa diventare un rumore sordo.
Articolo a cura di: Mattia Vitale