Rapaci: tutto sotto controllo (forse)
A distanza di qualche mese dalla sua pubblicazione (fiducioso che non si tratti di un vero e proprio ritardo), ritengo significativo osservare con un’attenta lente d’ingrandimento la seconda prova letteraria di Giovanni Pizzigoni (sul web, più agevolmente, GioPizzi), “Rapaci” – edito da Mondadori. Come il suo predecessore, “Carne Sprecata” (Poliniani) – di cui vi ho parlato poco più di un anno fa qui – il romanzo realizzato dal giovane autore non è risultato in un best-seller (perlomeno di quelli dal grande titolo, sulla prima pagina delle testate più affermate, sebbene sia certo che avrà soddisfatto e continuerà a soddisfare le attese sperate), dunque potreste chiedervi, perché approfondirne il contenuto? Presto detto: poiché l’opera rappresenta un’evidente evoluzione nei tratti distintivi dell’artista e sono certo che, col maturare del tempo, sarà apprezzata come meriterebbe.

Prima, però, facciamo un passo indietro: cosa ha da raccontare al pubblico di lettori – spesso anche eccessivamente esigenti – “Rapaci”? Il secondo romanzo di Pizzigoni prosegue su due sentieri stilistici ricchi d’interesse, già intrapresi nella prima prova letteraria dell’autore, l’ucronia – qui declinata sotto forma di fantapolitica e fantastoria – e la narrazione asincrona, ampliata ad una vasta gamma di personaggi principali e comprimari, i quali godono di un’attenzione, seppur episodica, ben dosata. L’ambiente che fa da sfondo alle vicende degli attori messi in scena dall’autore non è più il desolante scenario post-pandemico, dai tratti distopici e apocalittici, bensì un’Italia diversa da come oggi la conosciamo, o forse, pericolosamente simile (seppur nella finzione narrativa) a come ci rifiutiamo di ricordarla nel passato e confessarla nel presente. L’Italia disegnata da Pizzigoni è sfuggita all’iter e all’esperienza Repubblicana di cui oggi fieramente facciamo sfoggio e pur essendosi liberata formalmente da quella di stampo fascista, permane, agli anni ’80 descritti nell’opera, in una sfera geopolitica caratterizzata da una monarchia parlamentare governata quasi prevalentemente da gerarchi militari pseudo-fascisti, fra cui spiccano i “Pretoriani”.
Il romanzo rappresenta, inoltre, un esperimento meta-letterario degno di nota e segna un nuovo schema di approccio non soltanto alla scrittura, ma specialmente alla fase successiva della lettura. Il background socio-culturale e storico ove il romanzo muove i propri passi, difatti, è stato già sviscerato dall’autore anche attraverso gli altri media a cui fa riferimento come il web. Ne risulta dunque non solo un arricchimento personale, ma anche una singolare finestra, dalla quale, facendo capolino, si riesce a intravedere anche solo una piccola porzione del processo creativo di un artista odierno che si destreggia fra le piattaforme più tradizionali e i nuovi canali dell’intrattenimento e della cultura.
L’intreccio affascina sin dal primo impatto, complice anche una evidente disinvoltura narrativa che risalta rispetto al romanzo precedente e che invoglia il lettore, saggiamente accompagnato dall’autore, a scavare ancora più in profondità, così da non abbandonare le storie di protagonisti in balia del proprio tempo, sprovvisti di una netta linea di demarcazione tra buoni e cattivi. Pizzigoni sceglie di sviscerare l’atteggiamento dei rapaci, di esseri umani per natura spinti da un istinto predatorio, incapaci di controllarsi, ma d’altro canto costretti a farlo. La domanda che l’autore velatamente pone, difatti, è: costretti, sì, ma da chi? La risposta, questa invece neppure eccessivamente velata, è: da loro stessi! I rapaci messi in scena rispondono, nel bene e nel male, ad una parola d’ordine soltanto: controllo. Alla spasmodica ricerca del controllo, cercheranno di poter dominare gli eventi che li circondano, più o meno consapevoli della portata – a volte straordinaria – delle loro azioni.
Pur essendo predatori, tuttavia, i rapaci rimangono pur sempre semplici esseri umani, il cui desiderio di controllo – anche quando volto a ristabilire uno statu quo ante spezzatosi nelle loro vite, ed al perseguimento di un barlume di giustizia, che da tali esistenze pare essere stato estirpato – si rivelerà spesso un cocente fallimento. Duramente colpiti dalla storia, i rapaci cercano di aggrapparsi a qualsiasi cosa pur di mantenere salva almeno la parvenza stessa del controllo, ma, loro malgrado, si dimostrano inconsapevoli pedine di uno scacchiere estremamente più freddo e calcolatore di loro, che li sfrutterà sino allo sfinimento. Destinati, almeno apparentemente, a sbagliare, l’autore lascia aperto sul finale uno spiraglio di speranza, la quale, seppur forse magra consolazione, riporta un raggio di luce su esistenze colpite proprio da quel disastro e da quella tragedia, cui la loro necessità di controllo non ha mai saputo far pace, né vincere.
Articolo a cura di: Antonino Palumbo