Quanta chimica c’è nell’arte? Un viaggio nel mondo segreto delle molecole conservate nei musei
Spesso, quando si parla di arte, la si analizza da un punto di vista prettamente umanistico trascurando così un aspetto più profondo legato alla materia che la compone. In realtà, a rendere unica un’opera d’arte sono diverse molecole, dette “pigmenti”, che reagiscono alla luce mostrandosi colorate. Tutti i pigmenti, essendo chimicamente differenti, reagiscono al tempo ed agli eventi esterni in maniera diversa. L’approccio classico alla conservazione ed al restauro delle opere d’arte senza tenere conto delle proprietà chimiche e fisiche delle componenti dell’opera ha portato spesso a danni irreparabili. Solo da poche centinaia di anni si è cercata una figura professionale che potesse andare oltre le semplici operazioni meccaniche e, spesso, improprie atte al mantenimento di un’opera d’arte: è stata istruita prima una classe di restauratori e solo negli ultimi anni una classe di veri e propri scienziati, i Conservation Scientists, i quali sfruttando i potenti mezzi della scienza hanno il compito di sviluppare metodiche di restauro e conservazione specifiche per ogni opera d’arte.

Per rendere più chiaro il concetto facciamo un esempio: tutti conoscono “La Notte Stellata”, un dipinto del pittore olandese Vincent van Gogh ma quanti si sono soffermati a pensare quali potessero essere i pigmenti che danno vita a quello stupendo cielo o a quelle splendenti stelle? L’equipe di Zhao nel 2008 si è posta questa domanda studiando il quadro con una tecnica detta analisi multispettrale. Dai dati raccolti, come si può notare nell’immagine, è stato possibile determinare che nelle zone di cielo è presente un pigmento ottenuto dell’unione di blu oltremare e di blu di cobalto, mentre nelle zone vicine alle stelle ed alla Luna è presente principalmente blu di cobalto. Le stelle e la Luna, invece, si pensa siano state realizzate impiegando una miscela di giallo indiano e di giallo di zinco; le nuvole sono dipinte impiegando il giallo di cadmio e, infine, si pensa che i cipressi siano stati realizzati impiegando il blu di Prussia ed il Terra di Siena bruciata.

L’analisi chimica delle componenti delle opere d’arte porta ad una conoscenza più profonda del contesto storico e sociale in cui l’artista viveva, oltre a permettere una conservazione personalizzata dell’opera, in base alla sua composizione specifica.
I pigmenti, infatti, sono da sempre parte integrante della società e la scelta di un determinato pigmento non era dettata semplicemente dal mero prezzo ma da un significato intrinseco dato dal pigmento stesso.
La scienza risulta quindi essere parte integrante dell’opera e descrive sfumature che non possono essere ignorate.
COLLABORAZIONE - Articolo a cura di: chimica404
Bibliografia:
Zhao, Yonghui & Berns, Roy & Taplin, Lawrence & Coddington, James. (2008). An Investigation of Multispectral Imaging for the Mapping of Pigments in Paintings. Proc. SPIE 6810. 10.1117/12.765711
Immagini:
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Vincent_van_Gogh_Starry_Night.jpg#filelinks
Zhao, Yonghui & Berns, Roy & Taplin, Lawrence & Coddington, James. (2008). An Investigation of Multispectral Imaging for the Mapping of Pigments in Paintings. Proc. SPIE 6810. 10.1117/12.765711