Quando l’uomo genera il male, quando l’uomo supera la linea tratteggiata
“La triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono mai ad essere buone o cattive”.
Hannah Arendt

Da bambini inauguriamo la vita nella più totale ignoranza: piccoli esseri che vivono con loro stessi e per loro stessi. Si cresce e la vita dà la forza nelle gambe per camminare da solo, nella voce per emettere suoni voluti, negli occhi per abitare il mondo di giorno ed il letto di notte. Le mani sentono sempre meno la necessità di esplorare superfici, le emozioni si fanno più controllate e meno servitrici dell’instinto, il viso più scolpito, la voce meno squillante, il cuore più rumoroso. Da un quadro di Kandinskij, illimitato e sincero, si passa, senza quasi accorgersene, alle linee spezzate di Picasso che oltre a dividere, in modo più o meno marcato, l’essenza dalla sua manifestazione, creano una barriera tra ciò che è bene e ciò che è male. La scuola, i genitori, le leggi, la famiglia, gli amici, i libri, il buon senso, permettono di creare la linea che il manuale di teoria per la patente di guida definisce come “tratteggiata”: è possibile superarla, ma una volta oltrepassata, si è tenuti a percorrere la corsia scelta per un po’ di tempo.
Il movimento a zig zag non è contemplato perchè se da una parte risulta essere la soluzione più rapida, dall’altra, se scoperta, viene punita con una sanzione che prima o poi si dovrà pagare. Un giorno ti sentirai di stare sulla destra, un altro sulla sinistra, una volta questa decisione sarà sostituita da mille pensieri che ti accompagneranno durante il viaggio e che ti faranno intraprendere la strada semplicemente “più libera”. Il traffico intenso ti inviterà ad abbracciare la modalità “gara ad ostacoli”, ma se conoscerai il codice della strada saprai che dovrai aspettare in coda perché a volte la cosa migliore è semplicemente attendere che l’auto di fronte alla tua vada tre centimetri più avanti. La via del compromesso, però, affascina, attrae con la sua luce tanto calda quanto abbagliante. Con i suoi tentacoli di false promesse sembra essere un vigile che con la paletta indica la via per raggiungere la meta in sicurezza.
La sicurezza implica sempre la salvezza?
er la politologa e filosofa Hannah Arendt, no. In tante sue opere, tra cui, “Le origini del totalitarismo” e “La banalità del male”, spiega come le cause della nascita del Nazismo e dello Stalinismo siano da ricercare nell’imperialismo politico e nell’avvento della società di massa che ha trasformato soggetti di diritto ad oggetti senza il diritto di essere titolari di diritti. La Arendt, in quanto inviata del New Yorker, riporta che Adolf Eichmann, durante il processo del 1961 a Gerusalemme, alle richieste di spiegazioni per i crimini commessi si è difeso dicendo: “Ho obbedito a degli ordini”. In questa sconcertante affermazione è presente l’assenza di pensiero e di spirito critico. Chi non sceglie, non sbaglia. O meglio, non si sente colpevole del reato che ha commesso anche se è stato egli stesso l’artefice. È in questa sensazione di finta innocenza che è possibile constatare quella “banalità del male” che ci porta a sentirci indistintamente sotto una campana di vetro, protetti ed intoccabili anche quando non è così.
La speranza che il non scegliere possa inglobarti nella luce che emette è più forte del rischio di vivere per sempre nel buio scegliendo.
La comodità di avere cartelli stradali già perfettamente utilizzabili supera la curiosità di crearne di nuovi, personali e possibili proprietari di errori grammaticali, pronti ad essere giudicati da viandanti ciechi. In questa passiva accettazione il loro spirito manipolatore e micidiale impedisce di cogliere l’errore che si è fatto, a furia di accelerare, orrore.
Ma l’amore salva, crea riparo facendoti affrontare la tempesta, asciuga le lacrime mentre ti invita a piangere, è salvezza. Dove c’è amore c’è il coraggio di rischiare, c’è la volontà di fare del bene a noi stessi e a chi abbiamo accanto, dove c’è amore c’è una ferita che non si vuole guarire nascondendola, ma mostrandola a chi è in grado di accoglierla ed è proprio qui che risiede il nostro appartenere al mondo in grado di farci sentire anche nel buio, nella sconfitta, nelle lacrime, nel vuoto, benedettamente salvi. È qui che ci si sente ancorati alla necessità di vedere il paesaggio che si ha di fronte disinteressandosi della possibilità di vederlo sempre più vicino. Non siamo ciò che possediamo o ciò che facciamo, come invece molti vogliono farci credere per usarci e poi buttarci con le nostre mani ormai macchiate di sangue. Siamo ciò che proviamo, siamo le strade che decidiamo di imboccare e quelle dalle quali scegliamo di tenerci distanti per dare un senso al concetto di “Res publica”.
Non è possibile ignorare completamente come quando eravamo piccoli quella linea che separa il male dal bene perché l’esperienza l’ha portata per sempre alla luce. Proviamo bensì a trasformarla, per quanto possibile, in linea continua scegliendo, tra il bianco ed il nero, il primo colore, felici di avere questa responsabilità e di essere realmente liberi.
Articolo a cura di: Emanuela Braghieri