Quando avere un bel viso diventa un affare di Stato: la chirurgia estetica in Corea del Sud
Negli ultimi tempi la Corea del Sud ha suscitato grande interesse in tutto il mondo grazie all’industria dell’intrattenimento, basti pensare al cinema coreano che con Parasite ha conquistato gli Oscar, oppure alla diffusione del K-Pop grazie agli ormai famosissimi Bts. C’è però qualcos’altro per cui la Corea del Sud è nota: la chirurgia estetica.

Nel 2014 nel Paese asiatico sono state eseguite circa 980.000 operazioni estetiche e Seoul, ormai considerata la capitale della chirurgia estetica con ben 400 cliniche per ogni miglio quadrato, è diventata meta di un turismo del tutto particolare, sostenuto anche attraverso l’erogazione di servizi riservati ai numerosi pazienti stranieri che scelgono la città per sottoporsi a interventi chirurgici. Fra questi servizi ci sono la messa a disposizione di un numero pubblico che dà loro tutte le informazioni necessarie in lingua inglese, il trasporto dall’aeroporto e un interprete incaricato di abbattere il muro linguistico, al fine di facilitare l’esperienza il più possibile.
Questo massiccio ricorso a interventi estetici affonda le sue radici negli anni ’50 del Novecento, quando i soldati che avevano combattuto nella Guerra di Corea vennero sottoposti a interventi mirati alla ricostruzione dei loro visi sfigurati. A loro seguirono le prostitute dell’epoca che, per sedurre i soldati stranieri, sentirono la necessità di modificare i loro lineamenti per adattarli a quelli occidentali.
Si stima che oggi almeno un quinto della popolazione sia ricorso a interventi estetici di qualche tipo, chirurgici o filler. Uno dei regali più gettonati da parte dei genitori nei confronti dei figli per la fine del liceo è infatti la blefaroplastica, che consiste nella creazione della doppia palpebra tipica degli occhi occidentali. Come si potrà notare l’attenzione quasi maniacale verso l’aspetto fisico è insita nella cultura sudcoreana, e uno dei motivi è da ricercare anche nella loro forte credenza della fisiognomica, una disciplina secondo cui è possibile dedurre il carattere e la morale di una persona dal suo aspetto. Queste convinzioni sono tali da scatenare veri e propri pregiudizi nei confronti di persone poco attraenti che subiscono pressioni dalla società oltre che discriminazioni persino negli ambienti lavorativi: non è difficile che nell’assunzione di personale venga preferito un candidato più affascinante rispetto ad uno più competente. In quest’ottica è più comprensibile il singolare regalo sopracitato: la società sudcoreana è particolarmente competitiva e un bel viso molto spesso conta più di un buon curriculum.
Vi sono poi delle regole molto specifiche riguardanti i canoni di bellezza. Il viso deve essere piccolo e a forma di cuore, con una fronte alta e tondeggiante, e la famosa V-line, ottenuta attraverso la limatura della mandibola. L’aegyo sal è invece un intervento che consiste nell’iniezione di piccoli depositi di grasso sotto gli occhi che, secondo il gusto coreano, donano un aspetto dolce e grazioso. Il naso, invece, per essere considerato bello deve essere sottile e avere una radice alta. Infine il corpo deve essere magro e tonico, mentre la carnagione molto chiara: non è un caso che fra i cosmetici più utilizzati dalle donne coreane compaiano anche creme sbiancanti per il viso.
Come non citare poi la celebre beauty routine coreana per cui occorre svegliarsi ore prima a causa del gran numero di passaggi e prodotti da utilizzare.
Le donne sono bombardate da modelli di bellezza di gran lunga distanti da quella che è la tipica fisionomia orientale. Cartelloni pubblicitari che promuovono cliniche di chirurgia estetica riempiono la città e le stazioni della metropolitana, numerosi programmi televisivi sono incentrati sul come interventi estetici migliorino la vita delle persone, uno fra tutti “Let me in” che, con le dovute rivisitazioni, è arrivato anche in Italia con lo show televisivo “Selfie – Le cose cambiano”.
La costante esposizione a modelli percepiti come perfetti, la notevole pressione sociale a cui sono sottoposti i coreani e i rigidi canoni estetici, negli ultimi anni hanno portato alla nascita di movimenti di protesta come Escape the Corset, nato sui social quando molte donne hanno iniziato a gettare i loro cosmetici e tagliare i loro capelli in un iconico taglio corto chiamato bowl cut. A seguito di numerose proteste, inoltre, Seoul Metro ha affermato che entro il 2022 spariranno i manifesti pubblicitari relativi alle cliniche estetiche dalle fermate metropolitane.
In definitiva si sta lentamente andando verso una società meno discriminatoria e più improntata all’accettazione di sé.
La bellezza non dovrebbe essere un parametro di giudizio del carattere o della morale, tantomeno di capacità lavorative. Ognuno possiede un proprio fascino e comprenderlo è il primo passo per stare bene con se stessi ed essere felici. Al di là di ogni canone estetico.
Articolo a cura di: Concetta Pia Garofalo