Q’eros: gli ultimi Inca, il paradiso oltre le nuvole
“Questa esperienza mi ha fatto riflettere su come viviamo… io vivo sugli aerei, viaggio, sto molto a contatto con la gente, che non significa essere meglio o peggio, ma c’è un’apertura di mente importante. Poi guardo loro, fermi in un solo posto, sempre, la loro giornata va con la luce del sole… li vedo ancora più aperti rispetto alle problematiche, rispetto a noi. Noi siamo viziati. E invece ci vuole poco per stare bene.”
(Valerio Ballotta – esperto d’arte)

Sono queste le parole dell’esperto e curatore d’arte Valerio Ballotta, in merito alla spedizione fotografica vissuta in Perù dal 6 al 20 febbraio, assieme ai due fotografi e reporter Alessandro Bergamini e Tommaso Vecchi e al videomaker Giovanni Giusto. Si tratta di un progetto del tutto nuovo, innovativo: è la prima volta infatti che un curatore decide di partecipare in prima persona, per vivere l’esperienza e la destinazione non è di certo da meno… immaginatevi le montagne, i ripidi sentieri, la pietra che si sgretola e i 4000mt (e oltre) d’altezza, oltre le nuvole, a faccia a faccia con il cielo. Ci troviamo in Perù, nella regione di Cuzco, nella provincia dell’altopiano andino di Paucartambo; in questo territorio chiamato Nacion Quero, vivono i Q’eros, un popolo di 750 abitanti dislocati in piccolissimi paesini, che vive secondo le antiche tradizioni lasciate dai loro antenati, gli Inca, e in condizioni in tutto e per tutto estreme, privi di ogni confort considerato essenziale in Occidente, ad un’altezza fino a 6500mt. Sono pochi gli esemplari di flora e fauna in grado di resistere alle bassissime temperature e la terra, molto arida e poco fertile, permette la crescita di qualche tubero e sterpaglie; la scarsità di cibo è un’altra ragione per la quale la varietà di animali è così bassa, difatti ospita per lo più: lama, pecore, cavalli e alpaca, quest’ultimi essenziali in ogni loro componente.
Con sole cinque ore di luce al giorno (7am-11am), tra immense vallate, nebbia, nuvole e ghiacciai, questo popolo colora il proprio territorio con i suoi canti, le musiche e i vestiti sempre caldi e sgargianti.
Ma c’è un’altra cosa che in tutto questo ha colpito Valerio, oltre ai paesaggi mozzafiato e la particolare vita condotta lassù, sotto il punto di vista umano: la purezza, la sincerità negli occhi e il calore e la fiducia con le quali le persone ospitano, parlano e accolgono - questo è stato possibile grazie ad una persona che ha tradotto le due lingue in inglese, proprio perché i Q’eros parlano principalmente la lingua Quechua, “anche se” dice Valerio, “ci capivamo anche con i gesti”.
“È stata una lezione di vita: tra rapporto uomo-donna, il rapporto con la natura e anche tra esseri umani.”
E i bambini? Dove studiano, quando lo fanno? Come ci si prepara ad una missione del genere? E ancora com’è stato una volta lì “l’esserci”?
Valerio si racconta e ci racconta trasportato da un ricordo che sarà solo l’inizio di un’avventura, si sente forte l’emozione nella sua voce e si vede nei suoi occhi quel luccichio di chi non solo ha vissuto ma “ci è stato” e possiamo dire che quando oltre a te stesso, dinnanzi vedi solo terra e cielo, senza alcuna distrazione, è proprio allora che ci sei dentro. Come quando, dopo quattro ore di cammino, arrivati alla cerimonia tenutasi in una grotta, guardandosi attorno e in alto pensò: “se questo è il paradiso, va bene così.”
Articolo a cura di: Matilda Balboni