Platone e la Politica
Aggiornamento: 27 ott 2020

Il problema politico è fondamentale nel pensiero e nell’opera del filosofo Platone. Non potrebbe essere diversamente visto che Platone è un aristocratico, figlio di Aristone, candidato per essere al servizio della Città e soprattutto tutta la sua vita filosofica è determinata da un fatto prevalentemente politico, cioè l’ingiusta condanna a morte del maestro Socrate.
La morte dell’uomo più saggio che il mondo abbia mai conosciuto, non è per Platone solo la luce che illumina tutto il suo cammino filosofico, ma è anche la consapevolezza che nella vita politica della città non vi è posto per il “filosofo”. Al tempo stesso, come lo stesso Socrate gli ha insegnato, non si può vivere al di fuori della Città. Compito del filosofo è quindi quello di riformare la società e le ingiustizie della Polis, diventarne il capo, la guida, il re, perché solo il filosofo ha la capacità di educare i giovani e la classe dirigente, instillare nei loro animi la moralità e il buon governo.
E qui sopraggiunge il paradosso, perché il filosofo non sarà mai accettato nella Città finché essa non avrà raggiunto un grado di moralità elevato, ma per raggiungerlo è necessaria l’opera saggia di un filosofo, di cui Socrate ne è l’esempio più alto. Negli scritti platonici il tema politico si dipana in quasi tutti i dialoghi.
Vorrei però soffermarmi sul tentativo di Platone di applicare concretamente il suo pensiero filosofico, cioè far governare la Città a un re - filosofo. Nel suo scritto autobiografico Lettera VII, che ormai dai più è considerato autentico, Platone racconta le avventure dei suoi tre viaggi a Siracusa, almeno due dei quali con l'intento di educare filosoficamente il sovrano di turno. Nel IV secolo a.C, Siracusa, infatti, passa in mano a vari tiranni. Nel suo primo viaggio nel 388 il tiranno è Dionisio il Vecchio. Siracusa in quel momento è nel suo massimo fulgore e le idee di Platone, in disaccordo con la vita fastosa e lussuriosa che si tiene a corte, non sono ben digerite dal tiranno, tanto che il filosofo riesce a fuggire da Siracusa solo in modo rocambolesco. Nel frattempo il figlio del sovrano, anche lui di nome Dionisio, sostituisce il padre nella guida della città e Dione, zio e consigliere del nuovo sovrano, nel 364 a.c. richiama Platone perché lo educhi. Sembra andare tutto in modo perfetto: Dione diviene suo discepolo e Dionisio il Giovane si mostra molto benevolo nei suoi confronti, ma gelosie e losche trame per il potere fanno fallire anche quell’esperienza. Platone torna a Siracusa (361 a.c.) per la terza volta, soprattutto per mantenere la promessa fatta a Dionisio il Giovane, ma anche in quell’occasione le sue aspettative vanno deluse. I tentativi di Platone di difendere l’amico Dione portano alla rottura dei rapporti con il tiranno siracusano tanto che viene imprigionato e liberato solo grazie all'intervento di Archita, il pitagorico ”stratego massimo” di Taranto, amico di entrambi. Il sogno di Platone sembra dunque svanire, ma la sua passione politica rimane intatta e non si dà per vinto. Nella Repubblica, infatti, il filosofo progetta la Città perfetta e giusta che sarà la casa dell’uomo giusto. Il saggio, secondo la sua visione utopistica, traccerà il cammino da seguire, ci farà comprendere le ingiustizie delle nostre città. Che la Città, infatti, si realizzi o meno sulla terra, non importa, essa esiste, certamente nel cielo, il cielo delle idee, e il filosofo ne è già cittadino.
Se Platone fosse vissuto per altri 500 anni, avrebbe potuto conoscere l’Imperatore Marco Aurelio e leggere la sua opera letteraria, Colloqui con se stesso.
Marco Aurelio, influenzato dalla filosofia stoica, cercò di mettere in pratica nel suo agire da Imperatore le idee filosofiche che lo avevano educato. Ovviamente, seppur a malincuore, dovette acconsentire anche ad alcune azioni violente, come nella tradizione degli imperatori romani, ma si fece apprezzare per la sua umiltà, la sua tolleranza e la sua umanità, per la mitigazione della tortura e della pena di morte. Emanò leggi a favore delle classi servili, introducendo il concetto di diritto d’asilo per gli schiavi fuggitivi, insomma incarnò veramente l’idea platonica del re - filosofo.
Ama il mestiere che hai imparato e contentane. Passa il resto della tua vita come chi ha affidato con tutta l'anima agli dèi le proprie cose, senza farti mai tiranno né schiavo di nessuno.
Ma veniamo ai giorni nostri. La fuga dalla politica da parte delle persone sagge, di alta moralità e competenti è sotto gli occhi di tutti e questo non avviene solamente in Italia. Si ripresenta insomma quel paradosso che Platone aveva già evidenziato molti secoli fa. Le persone che dovrebbero guidarci con le loro idee e le loro azioni verso un mondo più giusto, se ne stanno in disparte per paura di bruciarsi nell’agone politico, accentratore di scandali, corruzione e incompetenza e così l’umanità intera perde ogni giorno l’occasione per migliorarsi.
Per rompere questa catena è necessario un capovolgimento copernicano.
Ovvero iniziare a pensare che non è la Politica il nostro nemico, ma sono gli uomini che vogliono usarla per i loro scopi meschini e non per il bene di tutti.
Ognuno faccia la sua parte affinché la (buona) Politica diventi uno strumento per difendere i più deboli e una via per percorrere insieme il sentiero per la felicità.
Marco Tempestini