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Peter Pan: il primo bimbo sperduto (pt.1)

“Nel momento in cui dubiti di poter volare, perdi per sempre la facoltà di farlo. Il motivo per cui gli uccelli, a differenza degli esseri umani, sono in grado di volare, risiede nella loro fede incrollabile, perché avere fede vuol dire avere le ali.”

-James Matthew Barrie



Se vi chiedessero chi è Peter Pan, pensereste subito al ragazzino vestito di verde che vola sulle notti di Londra in cerca di favole e una mamma per i suoi scapoli: i bimbi sperduti. Pensereste all’Isola che non c’è, a Capitan Uncino e a tutto ciò che da piccini avete tanto desiderato vivere. Pensereste al celebre classico Disney del 1953 “Le avventure di Peter Pan” o ancora al film “Peter Pan” del 2003 dove Jeremy Sumpter (Peter) e Jason Isaacs (Uncino) si fronteggiano e s’interrogano su cosa sia l’amore. E come dimenticare “Hook - Capitan Uncino” del 1991, la pellicola di Spielberg che mise in scena un giovane Robin Williams e una dolce Julia Roberts, in una versione diversa dell’originale opera teatrale in cui il mondo degli adulti esiste e non è malvagio.


Ebbene sì, l’idea che spinse registi e sceneggiatori a voler produrre negli anni sempre più rivisitazioni della medesima storia, nasce proprio da un’opera teatrale nel 1904: “Peter e Wendy” o “Peter Pan, il ragazzo che non voleva crescere”, ma che poi si evolse in romanzo nel 1911. Lo scrittore e drammaturgo britannico James Matthew Barrie fu il padre fondatore di questa piccola figura che poi si rivelerà non solo parte di una dolce e delicata fantasia ma anche metafora di parte della vita di Barrie.

“Peter Pan nei Giardini di Kensington” (1906) è il romanzo in cui per la prima volta conosciamo Peter, ma con fattezze e un animo diversi; ci viene presentato nel racconto che vi compare all’interno: “L’uccellino bianco”.


Ancor prima di parlare di lui però è bene delineare i punti chiave di questa storia. All’interno dei giardini di Kensington è presente un’isola, “l’isola degli uccelli”, il cui sovrano è Salomone: un corvo che dirige e invita stormi di uccelli a volare sulle abitazioni londinesi per poi scegliere una famiglia e trasformarsi in bambini e Peter è uno di questi. A sette giorni dalla sua nascita Peter conserva ancora un bel paio d’ali e quando la madre, inavvertitamente, dimentica la finestra aperta, Peter spicca il volo e si allontana così dalla famiglia, dall’infanzia e da un giaciglio, per far ritorno ai giardini. Salomone gli spiegherà che essendo volato via ha perso non solo la facoltà di volare, ma anche parte della sua identità di bambino. Saranno gli uccelli ad aiutarlo a costruire un nido che dall’isola lo riporti ai giardini dove, conoscendo le creature magiche imparerà tante cose, tra cui suonare il flauto di Pan. Da qui il nome: Peter Pan.


La regina delle fate Mab, estasiata dalla dolce melodia suonata dal bambino, gli concede due desideri. Non c’è nulla che Peter possa desiderare di più se non di poter tornare dalla sua mamma, in quanto non l’ha mai dimenticata. Le fate allora, tristi per la partenza del loro amico, decidono di dare una festa d’addio che però durerà più e più giorni. Quando poi Peter tornerà in quella che era casa sua scoprirà il potere del tempo: fermo nei giardini e fermo sulla sua pelle, ancora la stessa di anni prima… ma a Londra, in casa sua, è veloce e scultore di una realtà ormai cambiata. La finestra, simbolo ricorrente nella storia, è chiusa e la mamma stringe tra le braccia un altro bambino. Sarà in quel momento, con il cuore spezzato, che Peter tornerà ai giardini promettendo di non far mai ritorno nel mondo degli adulti.



Successivamente una bambina, Maimie Mannering, si perderà nei giardini e sarà Peter a trovarla, se ne innamorerà e le chiederà di sposarlo per vivere con lui la magia del giardino e per ritrovare quella carezza e quell’amore ormai sbiaditi. Ma la piccola, non a cuor leggero, sarà costretta a declinare la proposta, in quanto accettare significherebbe abbandonare la madre e il futuro.

L’ambientazione è riprodotta fedelmente da Barrie in quanto fu un gran frequentatore del Parco Reale. Durante il giorno le tate, i bambini e la gente di tutti giorni frequenta i giardini lasciandosi ammaliare dall’immensa bellezza che li avvolge, ma è la sera, dopo l’orario di chiusura, che ha inizio la magia: fate e altre creature magiche escono allo scoperto. Le tematiche si intrecciano perfettamente ai personaggi e all’ambientazione: il rifiuto della crescita, l’eterno gioco e fantasia. Proprio Peter afferma che sono i due anni di vita a sancire il principio della “fine”, in quanto è proprio in quell’età che i bambini dimenticano come si vola e smettono di credere nelle fate.


Ma per Barrie, il giardino è salvezza, qui trova consolazione e i suoi dubbi sembrano cessare per quel poco che vi passeggia. Esorcizza qui il dolore della perdita del fratello maggiore e le poche carezze che una madre afflitta gli nega. Farà la conoscenza di cinque bambini che lo porteranno a modellare quell’idea del bambino Peter Pan, delle creature straordinarie visibili a pochi e alla contrapposizione tra il desiderio di rinascita e paura dell’oblio, il tempo che passa, il passato che sfuma e negazione di affetto. Questi sentimenti si contrappongono all’idea magica, innocua e delicata che vige durante la narrazione della storia, eppure il bambino presenta i tratti di un infante cinico, arrabbiato e distante da ogni empatia. In equilibrio tra l’abbandono e uno spirito dionisiaco, ecco perché prendendo in esame Peter, metafora di desideri e sentimenti contrastanti, è l’immobilità del personaggio a descriverlo.


“Il terrore della mia infanzia era la consapevolezza che sarebbe venuto un tempo in cui anche io avrei dovuto rinunciare ai giochi e non sapevo come avrei fatto (questo tormento mi ritorna ancora nei sogni quando mi scopro a giocare a palline di vetri e mi giudico con severa riprovazione); sento che devo continuare a giocare in segreto.”

-James Matthew Barrie


Articolo a cura di: Matilda Balboni


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