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Perché il Referendum Eutanasia Legale sta ottenendo un (in)aspettato successo?

Difficile a credersi, perlomeno in un primo momento, eppure la campagna di raccolta firme a favore del quesito referendario sull’Eutanasia Legale – accompagnata dal motto “Liberi fino alla fine” – sta riscontrando un successo straordinario, registrando un incremento dei firmatari che lascia ben sperare. A cosa è dovuta, però, la popolarità di una campagna che molti davano per sconfitta sin da principio, poiché legata ad un tema erroneamente considerato “divisivo”? Ce lo spiega proprio Marco Cappato (Associazione Luca Coscioni), che i nostri microfoni hanno avuto la fortuna di ascoltare in uno dei tanti incontri organizzati e promossi dal comitato di raccolta firme.



Dopo aver sintetizzato in maniera piuttosto efficace la storia – fino ad ora non certo fortunatissima – dell’eutanasia in Italia, con dei rapidi passaggi sui casi Welby ed Englaro, oltre che sull’inefficienza del parlamento nel discutere una tematica di indiscutibile rilevanza, Cappato si sofferma sulla sua attività di disobbedienza civile e sul precedente che la pronuncia della Corte Costituzionale ha generato. Ed ecco, quindi, la risposta alla domanda precedente: quello che l’assenza del diritto evidenzia è una sostanziale urgenza.


Cappato infatti afferma: “Non c’è niente che provochi più urgenza di vita intima del dolore, della malattia. […] Non stiamo parlando di scelta di morte. Questa è la paura del nostro ceto dirigente. […] Abbiamo raggiunto le 250.000 firme (ndr. Solo una settimana dopo 320.000), la metà delle firme necessarie, perché la gente ha capito che noi stiamo parlando di vita, cioè di qualità della vita.”


Risulta molto più intuitivo, quindi, rispondere al quesito precedente. Perché la campagna sta riscuotendo tutto questo successo? Semplice, perché molti cittadini riconoscono la necessità di discutere questa tematica, fin troppo oscurata dalla politica e dai media generalisti.


D’altronde, sempre il volto della campagna di raccolta firme (sebbene mai si sia posto come tale, ma anzi, abbia evidenziato a più riprese lo sforzo gratuito che poco più di diecimila attivisti hanno speso e stanno spendendo tutt’ora per concedere alla cittadinanza la soluzione attivista della raccolta firme) sostiene che:


“Il bello dei diritti civili è che quando c’è un diritto, non togli niente a nessuno. Non vuoi fare l’eutanasia? Non la fai. Non vuoi fare il testamento biologico? Non lo fai. Ma nulla ti toglie il fatto che possa farlo qualcun altro. Non ti toglie nulla, non ti fa nessun danno.”


Insomma, non si tratta di uno scontro ideologico, quanto più di riconoscere un’alternativa che mai potrà essere imposta, danneggiando il singolo, ma della quale piuttosto il singolo, se dovesse desiderarlo, potrà avvalersi. Effettivamente, inoltre, Cappato rimarca spesso le difficoltà che un malato incontra al momento per ricorrere all’eutanasia (clandestina): non solo necessita della considerevole somma in denaro di circa 12.000 euro, ma anche di condizioni favorevoli allo spostamento in Svizzera – troppo spesso inesistenti.



“Non è vero che è un tema divisivo, perché la tua libertà di fare quello che vuoi non è divisiva della mia libertà di fare un’altra cosa. […] È una balla che sia uno scontro laici cattolici […] perché un cattolico può essere più laico di un laico, basta che sappia fare la differenza tra ciò che sceglie per se stesso e ciò che vuole imporre […] a tutti quanti.”


Il referendum e la risposta popolare sono, dunque, agli occhi di Cappato come “l’atto più politico che ci sia”, perché non ricerca un consenso di parte, fazioso, bensì nasce dall’urgenza sopracitata. Da una necessità quasi naturale – in questo caso quella di prediligere la qualità del proprio fine-vita, di andarsene senza soffrire – che va di gran lunga oltre il battibecco politico fine a se stesso.


“Noi siamo quasi rassegnati a vivere la politica come una rissa quotidiana, uno scontro permanente. […] La politica non è andare a mettere la scheda in un’urna una volta ogni cinque anni, illudendoci di pensare che così cambiamo le cose. La politica si fa tra un’elezione e l’altra e si fa con la partecipazione, con la conoscenza, con l’informazione. Cercando di collegare il proprio vissuto personale – della sofferenza, della malattia, della sessualità, dell’economia, di tutte le vicende più intime e importanti della nostra vita – con la decisione pubblica. E non ci dobbiamo rassegnare a pensare che queste cose le debbano fare gli altri. Questa è una cosa che se vogliamo sia fatta bene, la dobbiamo fare anche noi.”


Verso la conclusione del suo discorso, infine, l’ex radicale pone l’accento sul ruolo che l’individualità e il libero arbitrio – entro un contesto di libertà e diritti regolamentati – giocano nella vita di ognuno di noi e nelle scelte strettamente personali.


“Nessuno di noi […] può sapere che cosa sceglierebbe al posto di DJ Fabo, bisogna trovarcisi in quelle situazioni, sarebbe stupido, sarebbe presuntuoso da parte mia (ndr. Affermare) «Io vorrei certamente l’eutanasia». Ma cosa ne sai? Cosa ne so? Non possiamo avere questa presunzione, dobbiamo avere l’umiltà del rispetto della libertà di ciascuno.”



Si tratta di una scelta che mira all’umanità e all’acquisizione di un diritto che pone le basi su un fenomeno evidentemente già esistente e in crescita:


“La scelta non è eutanasia si o no, la scelta è tra l’eutanasia clandestina – che c’è già – e l’eutanasia legale fatta di regole e responsabilità. […] La clandestinità è il terreno dell’abuso, dell’ignoranza, della solitudine, della disperazione”.


Al termine di questo incontro prezioso, ho deciso di porre due domande in più a Cappato, nella speranza di non apparire ripetitivo, ma di ascoltare la sua opinione in merito ad alcuni dubbi che potrebbero sorgere nell’affrontare una discussione sull’eutanasia legale.


Innanzitutto, considerato l’impegno di questi giovani attivisti, sorge spontaneo chiedere: come avvicinare invece i giovani studenti e universitari, lontani dalle tematiche politiche e sociali, a questo genere di argomenti?


Penso che bisogna avere degli obiettivi ai quali si tiene. Non c’è un trucco, un espediente. Se si parla e si fa, soprattutto, di qualcosa che interessa la vita delle persone, poi le persone si muovono. A vent’anni o a novantacinque, non c’è un trucco particolare per i giovani. Certo, per chi è ormai abituato a considerare la politica come qualcosa di cui valga la pena interessarsi è meglio approfondire. Vedere come le nuove tecnologie possono essere utilizzate per interessarsi del mondo intorno a noi, che si tratti di cambiamenti climatici o eutanasia, bisogna partire sempre da quello che ci sta a cuore.


Poi, a scanso di equivoci con i più scettici, una domanda di ordine pratico.


Dovesse essere approvato il referendum, ma si presentasse un tasso elevato di obiettori di coscienza, come si potrebbe trovare una soluzione?


Al contrario dell’aborto non servono medici specializzati, servono solo medici in grado di controllare le condizioni e di prescrivere una sostanza eutanasica. Basterebbe farlo fare ai medici che sono d’accordo e che sarebbero sicuramente tantissimi.


In chiusa, spero che questo articolo possa avvicinare alcuni lettori non ancora del tutto convinti ad una causa più che nobile.


Articolo a cura di: Antonino Palumbo



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