“Patria e vita”: le proteste di Cuba sotto l’ombra dell’embargo
A partire da luglio, la più grande protesta che Cuba abbia visto negli ultimi trent’anni sta andando in scena. Migliaia di cubani in tutta l’isola protestano contro le condizioni in cui il paese versa, fra carenze di beni di prima necessità e crescenti ospedalizzazioni legate alla crisi sanitaria, scontrandosi non solo con il governo, ma anche con altrettanti cittadini a esso fedeli.

Per capire come mai la maggiore isola dei Caraibi si trovi in queste condizioni è necessario fare un passo indietro fino alla Guerra fredda: all’indomani della rivoluzione socialista guidata da Fidel Castro, che nel 1959 depose la precedente dittatura, gli Stati Uniti, oltre al ritiro del contingente diplomatico stanziato sull’isola, iniziarono ad adottare una serie di misure economiche volte a indebolire l’economia interna di Cuba; fra queste fu fondamentale la drastica limitazione dell’importazione americana dello zucchero, che costituiva una parte massiccia dei ricavi che l’isola riceveva. Della situazione approfittò l’Unione Sovietica, che sostenne le esportazioni cubane, sia naturalmente per una vicinanza ideologica, essendo Cuba un importante zona strategica vicina al suo nemico più importante, sia per una convenienza politica,.
L’embargo, o bloqueo, come viene chiamato dai cubani, è tuttora in vigore dopo sessant’anni, nonostante le ripetute condanne delle Nazioni Unite e le intimazioni agli Stati Uniti per sospenderlo. Un tentativo di sblocco della situazione è stato tentato durante l’amministrazione di Barack Obama, che però ha incontrato la resistenza dell’ala repubblicana del parlamento americano. Al contrario, durante i quattro anni di presidenza di Donald Trump, i limiti allo sviluppo economico del paese sono aumentati, con l’obiettivo, dichiarato esplicitamente dall’ex segretario di Stato Mike Pompeo, di “affamare Cuba”. La senatrice democratica Alexandria Ocasio-Cortez, uno dei maggiori punti di riferimento per le giovani generazioni statunitensi, ha espresso una condanna verso la scelta del presidente Biden di mantenere inalterate le condizioni di embargo inasprite con più di 200 sanzioni dall’amministrazione precedente. “È inaccettabile per noi utilizzare la crudeltà per influenzare le vite quotidiane delle persone” ha dichiarato al congresso.
Uno degli aspetti peculiari di questa protesta sta nella divisione fra chi protesta contro il governo del presidente Miguel Diaz-Canel (il quale sostiene che i manifestanti siano in qualche modo foraggiati dagli USA) e chi scende in strada invece per mostrare il proprio supporto al governo: in particolare le generazioni più anziane difendono l’operato del governo centrale, mentre i cubani più giovani sono fra i dissidenti più calorosi. Non è raro durante queste proteste veder sventolare la bandiera del Movimento del 26 luglio, l’organizzazione politica che guidò l’insurrezione comunista a partire appunto dal 26 luglio del 1953. Uno dei cori che i manifestanti intonano con vigore è lo slogan “Patria y vida” (patria e vita), opposto proprio allo slogan “Patria o muerte” (patria o morte) simbolo della rivoluzione, a indicare ancora di più la volontà di cambiamento che i giovani cubani chiedono.

Le condizioni in cui versa la nazione caraibica sono state rese ancora più aspre a causa della pandemia, che ha ulteriormente indebolito la popolazione, soprattutto nelle sue fasce più povere. Molti beni di prima necessità sono razionati, medicinali compresi e, nonostante l’impegno prodotto nel cercare di sviluppare un vaccino in autonomia, solo una percentuale minoritaria dei cittadini cubani è stata vaccinata. Inoltre, fondi massicci sono stati spesi nella ricerca di un vaccino efficace, lasciando però scoperta una parte del settore sanitario dell’isola, attualmente in difficoltà ancora maggiori per importare medicinali dall’estero.
Articolo a cura di: Elisa Matta