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Olio, tra leggende metropolitane e linee guida

Secondo le “Linee Guida per una sana alimentazione” e il modello della dieta mediterranea, l’olio rientra nel “consumo giornaliero” ovvero si consiglia di introdurlo quotidianamente, secondo i propri fabbisogni, prediligendo quello extravergine d’oliva.

Perché proprio quest’ultimo, rispetto a quello di semi?

Dal punto di vista nutrizionale, è un alimento ricco di acido oleico e di antiossidanti in quantità significative, i quali contribuiscono a contrastare l’effetto dello stress ossidativo sul nostro organismo, con un impatto positivo sulla salute.



Inoltre, è fonte di componenti minori come vitamine, squalene e i composti fenolici che contribuiscono alla piccantezza, al sapore e all’aroma dell’olio.

L’acido grasso monoinsaturo citato sopra riduce la concentrazione di lipoproteine trasportatrici di colesterolo LDL, favorendo il trasporto di quello HDL, il famoso colesterolo “buono” che non ostruisce le arterie.

Esso è l’unico tipo di olio che viene semplicemente estratto meccanicamente, mediante la spremitura delle olive; se ne ricava una pasta e da essa il condimento più utilizzato in Italia.


Il consiglio è quello di prediligerlo a crudo, per esaltare il sapore degli ingredienti; le sue caratteristiche organolettiche, dal profumo al gusto, valorizzano i cibi con cui entra in contatto.

Per gli oli di semi invece è necessaria un’estrazione con solvente e in seguito una raffinazione per rendere il prodotto commestibile e gradevole al consumatore.


E per quanto riguarda la frittura? Non sono i migliori?


No! Il loro uso è legato a motivi economici, in realtà l'olio d’oliva ha un punto di fumo più elevato (180-210 °C) e minore acidità, pertanto l’acido oleico resiste meglio a tali temperature.

In commercio, per sopperire alla mancanza di stabilità termica, si trovano oli di girasole addizionati di acido oleico oppure miscele “create” ad hoc.

Sui blog di cucina viene osannato l’olio di cocco, è più sano?

No! Senza entrare nel merito della discussione sterile tra “cibi sani e permessi” contro “cibi cattivi da evitare”, se preferite usare, soprattutto nei dolci, l’olio di cocco per il sapore e la consistenza è una scelta sensata, ma dal punto di vista nutrizionale non è comparabile a quello di oliva.



Esso, infatti, è interamente costituito da grassi saturi, il cui consumo dovrebbe rispettare il fabbisogno di <10% delle calorie totali.


Nella società moderna i grassi sono stati oggetto di studi, legati al diabete mellito di tipo 2, alle malattie cardiovascolari e all’insorgenza di tumori.

La composizione in acidi grassi nella dieta può giocare un ruolo preventivo a livello cardiovascolare; la riduzione di quelli saturi (abbondanti in carni grasse, salumi, formaggi) si riflette in una riduzione di fenomeni come infarti e trombosi.

I dati medi di consumo degli italiani nel 2018 segnalavano un’assunzione totale superiore a quanto raccomandato (37%) ma oggi si assiste sempre di più al fenomeno opposto, la demonizzazione.


Oltre a ridurre i grassi animali, tanti connazionali hanno abolito anche il famoso “giro d’olio” sulla pasta, convinti che il termine “grassi” coincida con l’atto di “ingrassare”.

Mito da sfatare, perché solamente il surplus calorico protratto nel tempo porta all’aumento del numero sulla bilancia, non il singolo prodotto.

I grassi sono componenti fondamentali della parete cellulare, veicolano vitamine liposolubili, sono i precursori degli ormoni steroidei; un apporto insufficiente si ripercuote sulle articolazioni, sul ciclo mestruale per le donne, sulla guaina mielinica che riveste gli assoni dei neuroni ed evita la dispersione dell’impulso nervoso.

Si crea uno squilibrio ormonale e si innesca uno status infiammatorio, perciò i grassi dovrebbero rappresentare circa il 30% dell’apporto calorico giornaliero.

All’interno del pasto, la loro presenza contribuisce ad aumentare il senso di sazietà e ad abbassare l’indice glicemico, ancora più importante per chi soffre di diabete, PCOS e sindromi metaboliche.


In etichetta è possibile leggere “grassi idrogenati trans”, i quali si ricavano dagli oli vegetali attraverso il processo industriale di idrogenazione, rendendoli potenzialmente dannosi per il nostro organismo, che riconosce la forma cis.

Questi ultimi sono gli unici da eliminare o limitare il più possibile nell’alimentazione quotidiana secondo l’OMS.


L’obiettivo non è allarmare ma razionalizzare il consumo di tale macronutriente, restituendo dignità a un prodotto che è un’eccellenza italiana. Puntate sulla qualità e, quantitativamente parlando, sull’equilibrio; l’unica preoccupazione legata alla bruschetta con pomodoro fresco e magari l’olio “diggiù” (e qui i fuorisede capiranno!) è la macchia sui pantaloni!


Articolo a cura di: Giulia Biamino



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