Nerthus, id est Terra mater (parte seconda)
Aggiornamento: 24 feb 2021
Non si hanno informazioni sulla storia successiva del culto di questa divinità nel millennio che separa la fonte latina da quelle norrene medievali; ciononostante, la toponomastica, grazie ad adeguate prove a supporto, può fornire qualche indizio sulla sua possibile diffusione*. In genere, molti dei toponimi contenenti il nome Njörðr sembrano indicare le masse d’acqua o luoghi a esse vicini e, difatti, la maggior parte si trova nelle aree lacustri del Götaland e dello Svealand, in Svezia, e la costa occidentale e l’Oslofjord, in Norvegia.

Tuttavia, questi luoghi sono troppo distanti da una possibile collocazione del culto di cui parla Tacito in Scandinavia meridionale; ma è anche possibile che le attività cultuali abbiano cambiato luogo. Molto lontani da quelli norvegesi e svedesi, altri toponimi riconducibili a Njörðr si trovano nella Skåne (Götaland meridionale) e su Fyn (in Danimarca): soprattutto su quest’isola c’è il villaggio di Nærå (l’antica Niartharhøghæ), molto vicino a Gudme*. L’esistenza di alcuni siti scandinavi meridionali più importanti associati a Nerthus/Njörðr deve aver scoraggiato l’uso del nome divino per chiamare delle località vicine di minore interesse tra il V e la prima metà del VI secolo, mentre in età successiva nuovi insediamenti norreni potrebbero aver adottato quel nome per associarsi ai centri più antichi, dotati di maggior prestigio*.
A proposito del carro, gli studiosi hanno accostato l’indicazione di Tacito al ritrovamento di veicoli rituali nelle sepolture in area scandinava, dal “carro solare” risalente all’Età del Bronzo, scoperto a Trundholm Mose (Sjælland), al “carro di Dejbjerg”, datato al I secolo a.C. e rinvenuto presso la canonica dell’omonimo villaggio danese nello Jutland, a quello di Oseberg, tratto dall’omonimo tumulo nel Vestfold (Norvegia) e risalente alla metà del IX secolo: tutti manufatti la cui struttura suggerisce più una funzione simbolica che un utilizzo pratico*.

D’altronde, nella mentalità arcaica il carro possedeva un grande valore simbolico, essendo considerato il mezzo più usuale attraverso il quale potesse verificarsi un’epifania divina: molte divinità norrene della stirpe Vanir, infatti, sono rappresentate a bordo di un carro. Un manoscritto islandese del XIV secolo, noto come “Flateyjarbók”, conserva la Ögmundar þáttr dytts, la quale riporta la vicenda di Gunnarr helming (Gunnars þáttr helmings), un norvegese costretto a fuggire in Svezia perché a torto sospettato di omicidio. Nel suo viaggio, egli s’imbatte in una sacra processione guidata da una giovane donna (forse una sacerdotessa), che i locali considerano la “sposa” del dio Freyr. Verso la fine dell’anno era consuetudine portare su un carro il simulacro del dio per benedire i campi e propiziarne la fertilità. Gunnarr decide di unirsi al seguito del dio, ingraziandosi la sacerdotessa. Ma durante una bufera di neve, che ne rallenta la marcia, egli seduce la donna e giace con lei profanando il carro. Freyr, adirato, affronta Gunnarr, ma ne viene sconfitto e il suo numen abbandona il simulacro. Il vincitore distrugge l’effige e ne prende il posto, viaggiando per il paese, incontrandone gli abitanti e banchettando con loro. Ora, la processione sul carro richiama molto da vicino quella di Nerthus, così come il fatto che Njörðr sia detto vagna gvð («dio del carro») e che Freyja viaggiasse a bordo di un reið («cocchio»)*
Nella sua descrizione Tacito si sofferma su altri particolari del culto: il sacerdote era l’unico mortale al quale attingere… concessum il telo che ricopriva il simulacro divino. Alcuni studiosi hanno interpretato i laeti dies come allusione a un’esaltazione orgiastica simile a quella del culto frigio di Cibele*. Altri, mettendo in relazione Nerthus con altre divinità femminili della tradizione norrena (Iðunn, Gerðr, Gefjun e Sif), hanno ipotizzato che sotto il telo montato sul carro si consumasse una ierogamia: in particolare, secondo de Vries, un partner maschile sarebbe stato necessario per fecondare la divinità, e quindi il rito descritto da Tacito non sarebbe stato altro che un matrimonio sacro a cui seguiva un bagno lustrale*. Secondo Olsen, l’isola norvegese di Njarðarlǫg (od. Tysnesøen) sarebbe etimologicamente legata a Nerthus, poiché il suo nome significherebbe «territorio sotto la legge di Njörðr», ma anche «territorio sacro a Nerthus»: pare infatti che sull’isola sorgesse un santuario dedicato a Týr, dio arcaico del cielo, nel quale si celebrava lo sposalizio tra cielo e terra, e presso una località chiamata Vévatne («acqua sacra») si teneva il bagno della dea; sulla stessa isola vi era un altro luogo denominato Hovland («terra del tempio»), che evocherebbe il templum di cui parla Tacito*. A questo proposito, il riferimento al sacello ha fatto pensare ad alcuni interpreti una relazione tra Nerthus e, in particolare, la dea Gerðr, nome il cui etimo rimanderebbe proprio al «recinto» (a.isl. garðr): probabilmente, il templum di cui la fonte latina parla allude al luogo sacro in cui era riposto il simulacro divino al riparto dalla vista dei mortali e da ogni possibile profanazione*. Ora, al di là delle varie congetture su una possibile ierogamia (anche fra la dea e il suo stesso sacerdote), Tacito non ne parla. Piuttosto è ragionevole supporre che il sacerdote avesse la funzione di guida spirituale e, data la sacralità della cerimonia, il tabù di toccare il velo divino da parte degli altri uomini e l’alone di mistero che circondava la dea (arcanus… terror sanctaque ignorantia), rappresentava un ministro del culto: in altre parole, il suo compito consisteva nel richiamare l’attenzione dei devoti sulla presenza della dea*.
Tacito riferisce che, dopo aver compiuto la sacra processione fra gli uomini, Nerthus tornava al suo sacello. Qui, presso un secretus lacus, si celebrava un’importante cerimonia di lustratio dall’alto valore simbolico, durante la quale venivano lavati il simulacro, il carro e gli altri oggetti sacri. Gli stessi servi, che avevano officiato il rito, statim erano inghiottiti dalle acque del lago per non riemergerne più. Ora, se la lustratio aveva il significato simbolico di reintegrare le forze esauste della dea, dopo aver concesso parte del proprio potere fecondante al mondo, affinché, una volta rinvigorita, potesse garantire di nuovo un buon raccolto tramite la pioggia, la morte rituale dei servi costituiva l’atto pratico di questa reintegrazione*. La loro dipartita, però, era anche il prezzo da pagare per aver violato un tabù fondamentale: avevano potuto toccare e vedere il contenuto del carro sacro, nonché l’effige stessa della dea*.
Proprio le indicazioni secretus lacus e insula Oceani di Tacito rivelano un forte legame tra la dea Nerthus e l’elemento acquoreo e sembrano confermare ulteriormente l’identificazione fra lei e il dio norreno Njörðr, come signore del mare, del vento e della pioggia: il fatto che entrambe le divinità condividano il duplice dominio della terra e dell’acqua ha fatto pensare che il loro sia un caso di ermafroditismo, siccome le funzioni da esse compiute (soprattutto l’elargizione di ricchezza e fertilità) sono assai simili a quelle dei “geni del mare” della tradizione norrena, che appaiono sotto forma di havmann (esseri maschili) o havfrue (esseri femminili). Suscita, perciò, un certo fascino l’interpretazione che vuole Nerthus come antenata della havfrue del folclore scandinavo: come la dea anche il “genio marino” (sc. sirena) visita periodicamente i mortali e si trattiene presso di loro per qualche tempo; allora, l’annegamento dei servi non assume più il significato di sacrificio necessario alla salvaguardia del segreto mistico della dea, ma rappresenterebbe una scelta volontaria assunta da alcuni per godere delle ricchezze del mondo sottomarino*.
COLLABORAZIONE
Articolo a cura di: Francesco Cerato di Studia Humanitatis Paideia Fc
*M. Olsen, Hedenske kultminder i norske stedsnavne, Kristiania 1915, 50-62; J. Sandnes, O. Stemshaug, K. Aune, Norsk stadnamnleksikon, Oslo 1976, 234 (s.v. Njærheim), 238 (s.v. Nærøy).
*J. De Vries, Altgermanische Religionsgeschichte, Berlin 1956-1957, II 194-199, 201.
*Secondo J. Kousgård Sørensen, The Change of Religion and the Names, in T. Ahlbäck (ed.), Old Norse and Finnish Religions and Cultic Place-Names: Based on Papers Read at the Symposium on Encounters between Religions in Old Nordic Times and on Cultic Place Names, Held at Åbo, Finland, on the 19th-21st of August 1987, Åbo 1990, 399, «non c’è motivo di credere che il dio fosse venerato negli ultimi secoli della paganità»; egli sostiene che i toponimi in Nær- non fossero più sentiti come teoforici in età vichinga, anche perché il culto di Njörðr doveva ormai essersi estinto; ciononostante, l’ipotesi dello studioso mal si concilia con la presenza relativamente cospicua dello stesso Njörðr nelle fonti documentali e con l’esistenza di toponimi in Islanda: qui infatti esistono tre luoghi chiamati Njarðvík, che non possono essere anteriori al IX secolo e che probabilmente riflettono un culto attivo in età più tarda.
*Su questi reperti si vd. J. Brøndsted, Danmarks Oldtid, Copenhagen 1960, III, 68-73; O. Harck, Zur Herkunft der nordischen Prachtwagen aus der jüngeren vorrömischen Eisenzeit, AA 59 (1988), 91-111. Si vd. anche T. Gunnell, Blótgyðjur, Goðar, Mimi, Incest, and Wagons. Oral Memories of the Religion(s) of the Vanir, in P. Hermann, S.A. Mitchell, J.P. Schjødt, A.J. Rose (eds.), Old Norse Mythology-Comparative Perspectives, Cambridge MA 2017, 113-138.
*Per la Gunnars þáttr helmings, si vd. J. Kristjánsson (ed.), Eyfirðinga sǫgur, Reykjavík 1956, 111-115. Cfr. G.C. Isnardi, I miti nordici, Varese 2008, 664-666; P. Orton, Pagan Myth and Religion, in R. McTurk, A Companion to Old Norse-Icelandic Literature and Culture, Oxford 2008, 303-304. I veicoli a ruote erano associati solitamente agli dei della fertilità germanici e celtici. Gregorio di Tours, per esempio, racconta di un idolo di una dea pagana, Berecinthia, trasportato per i campi con grande venerazione: Gregorio di Tours, Liber in Gloria Confessorum, in B. Krusch (ed.), MGH SS rer. Merov. I 2 (1885), c. 76, 793-794. Si vd. anche P. Berger, The Goddess Obscured: Transformation of the Grain Protectoress from Goddess to Saint, London 1988. Sull’elemento del carro nei culti di origine germanica, si vd. R. North, Heathen Gods in Old English Literature, London 1997.
*Sulle ipotesi di ierogamia, si vd. E. Polomé, A propos de la déesse Nerthus, Latomus 13 (1954), 167-200 e bibl.
*J. De Vries, Altgermanische Religionsgeschichte, Berlin 1970, I, 468.
*M. Olsen, Det gamle norske ønavn Njarðarlǫg, Oslo 1905. Cfr. in part. Polomé, A propos…, 172. Si vd. anche E. Ellqvist, Studier rorande Njordkultens spridning bland de nordiska folken, Lund 1952, 79-91, 162-163.
*Isnardi, I miti nordici…, 284.
*Si vd. W. Mannahardt, Der Baumkultus der Germanen und ihrer Verwandten, Berlino 1875, 588; N. Lid, Joleband og vegetationsguddom, Oslo 1928, 211, secondo i quali il sacerdote toccava il velo della dea per verificarne la presenza, che doveva manifestarsi in seguito alla germogliazione di una pianta specifica; J. De Vries, Altgermanische Religionsgeschichte, Berlin 1970, I, 470, afferma che l’epifania di Nerthus coincideva con il rinnovo della bella stagione, segnando il passaggio dall’inverno alla primavera. A questo proposito si vd. anche M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, Torino 1976, 339-340, e Motz, The Goddess Nerthus…, 2.
*In questo senso G. Dumézil, Il libro degli eroi. Gli splendidi miti del Caucaso, Torino, 1976, 237, ha ricondotto l’etimo germanico *Nerþuz all’etnonimo caucasico dei Narti, i quali narrano la leggenda di Batradz: l’eroe ossetico per garantire al suo popolo ricchezza e prosperità deve morire annegato in un lago proprio come i servi di Nerthus. Su questa associazione, cfr. le considerazioni di E. Polomé, Nerthus/Njörðr and Georges Dumézil, MQ 40 (1999), 143-144.
*Si vd. Eliade, Trattato…, 201-202. Cfr. Polomé, A propos…, 195-196.