Nel vivo del restauro (Intervista alla restauratrice Sara Mattioli pt.2)
A cosa serve quindi il restauro se la differenza è resa visibile?
Come ho detto prima, nel restauro è coinvolta sia la parte conservativa che estetica. Quando si parla di rendere visibile un intervento dobbiamo far riferimento alla parte estetica, cioè il modo di presentare l‘opera all’osservatore per essere capita e apprezzata nella sua unità. Per questa ragione è molto importante che l’intervento di restauro sia inteso come una valorizzazione delle qualità artistiche originali dell‘opera, elevando ciò che ne rimane. Questo aspetto, durante l’intervento è cruciale.
La parte estetica si realizza attraverso la reintegrazione, sia materica che pittorica. Al giorno d’oggi si tende a rispettare il più possibile l’opera per rimanere fedeli all’idea originale dell’artista. Dunque se mancano delle parti, non presenti nelle documentazioni storiche, non si ricostruisce; proprio perché se non si sa o non ci sono testimonianze di come era precedentemente l’opera, non si può inventare, anche per una questione di deontologia e per evitare interventi troppo invasivi. Così usiamo la tecnica del neutro, ovvero si va a creare un colore che non disturba, neutrale, che ha gli stessi toni dell’opera. Oppure diversamente alla tecnica del neutro si usa il metodo mimetico cioè si imita l’area circostante e si utilizza quando le lacune sono piccole e non si interferisce sul disegno originale. L’originale e l’intervento eseguito sono in equilibrio, in armonia tra di loro, ma distinti quando si prende visione da più vicino.
Il restauro quindi si applica a ciò che ci perviene non a ciò che non si sa. Dipende anche dall’oggetto: si accetta quello che c’è e si esalta quello che rimane, perché l’opera ha la sua storia a causa dell’accadimento degli eventi e del suo corso nel tempo. Non c’è una regola che vale per tutti i casi: ogni opera va studiata e trattata come unica costruendo un intervento idoneo alle diverse circostanze.
Va tenuto conto anche di quale sarà la collocazione dell’opera. Ad esempio la scultura raffigurante la Vergine Maria del gruppo scultoreo di cui sopra non presenta le mani giunte in preghiera, essendo destinata ad un museo; la sua funzione non ricopre più l’aspetto religioso originario, dunque l’incompletezza va accettata. Se invece fosse stata destinata ad un ambiente religioso, la situazione adottata sarebbe stata diversa (includendo le mani).

Ha senso intervenire anche nelle opere di “basso conto”, come quelle nelle chiese povere di campagna ecc?
Assolutamente sì. Fa parte della storia di quel paese, dell’identità di quella comunità: il patrimonio storico artistico appunto contribuisce a definirle. Quindi sicuramente ci saranno opere ritenute più importanti rispetto ad altre, in base al momento storico e all’artista, ma ogni opera ha comunque un suo valore, una sua storia, un suo perché e quindi è più o meno importante, non solo per il valore artistico ma anche storico. Su di essa vive la storia di chi mantiene l’opera esposta, la ricorda. Se non si prestasse attenzione anche a queste opere andrebbe perduta l’identità dei paesi, importante per la propria definizione. Questo aspetto mi coinvolge personalmente perché anche io provengo da un piccolo paese di campagna destinato in futuro a scomparire, ad essere inglobato in un altro centro più grande; per questa ragione dobbiamo preservare il più possibile le nostre testimonianze.
In conclusione posso dire che l’approccio di un restauratore è lo stesso per qualsiasi opera, può essere diverso il trattamento ma non l’intento, tanto meno la dedizione per ciò che si ha tra le mani. Anche le piccole cose sono importanti.
La missione del conservatore è quella di conservare i materiali originali non il livello artistico dell’opera. Perdere i materiali originali significa perdere l’oggetto.
Quali sono le opere con cui più ti è piaciuto lavorare?
Trovo difficile dare una risposta a questa domanda. Ogni progetto racchiude una esperienza costruttiva sia a livello professionale che umano. Ricordo con tanto piacere ogni mio lavoro, dal più semplice al più difficile, dal più al meno recente; l‘esperienza e la continua volontà di migliorarmi sono alla base di questa mia crescita.
Il progetto con cui ho iniziato a lavorare all’Heritage Malta, le quattro sculture in legno, sono state una dura prova e anche piuttosto completa in quanto si tratta di un modellato e, in questo caso, bisognava ricostruire, dove possibile, parti mancanti. È stata interessante la pulitura della pellicola pittorica dipinta e dorata, è stata la prima volta che ho eseguito un’integrazione pittorica a rigatino su una scultura. Un’esperienza indimenticabile e fondamentale per il mio futuro è stata quella di lavorare in equipe: ho capito la necessità di integrarmi in un gruppo e l’utilità di confrontarmi con operatori con formazioni diverse. Poi è arrivato il Main Guard, e adesso che sono vicina al termine di una parte dei lavori posso davvero dire che questa attività lavorativa è una grande passione che mi coinvolge in modo totale.
Sono stata molto coinvolta a livello umano oltre che professionale, grazie alla possibilità di avere in un qualche modo un contatto diretto con quei soldati che hanno eseguito le opere, quasi come se fosse avvenuta una trasmissione di stati d’animo, ricordi, momenti vissuti in quel tempo...
Anche il progetto che riguarda i dipinti su tela di Gozo mi ha toccato molto: per l’opportunità di lavorare su opere di un artista italiano che mi riporta in qualche modo alla mia terra e anche per la responsabilità di seguire in autonomia un progetto.
Ci sono anche tante foto riguardanti i tuoi lavori…
Sì, la documentazione è importante! Si fotografa l’opera prima dell’intervento, durante le varie fasi di restauro ed infine al restauro ultimato. La fotografia ci mostra la storia della vita dell’opera, i vari cambiamenti subiti nel tempo, utili per le generazioni future, ma soprattutto è importante per i restauratori e gli storici dell’arte, come strumento di studio soprattutto nelle prime fasi di intervento.
La fotografia ultravioletta che ci permette di osservare la presenza di vernice e vecchi ritocchi; così la fotografia diagnostica, come gli infrarossi, la radiografia. Ci permette di vedere pentimenti qualora ci siano, il disegno preparatorio ed elementi strutturali come chiodi o giunzioni.
Concludendo la fotografia ci permette di conoscere più in profondità la tecnica di manifattura dell’opera e a conclusione del lavoro l’insieme delle fotografie saranno parte integrande del report che accompagneranno l’opera verso il suo futuro.
Articolo a cura di: Matilda Balboni