Morti nel calcio, si possono evitare?
Il professore Giorgio Galanti è stato recentemente condannato per la morte del giocatore della Fiorentina Davide Astori. Ma questo non è l’unico caso di morte improvvisa avvenuto in Italia: prima di lui si ricorda con estremo dolore anche la vicenda Morosini.
L’accusa per il professore Galanti è quella di omicidio colposo, a causa del rilascio da parte dello stesso di due certificati di idoneità quando era il direttore del centro di medicina dello sport di Careggi. La morte del calciatore è avvenuta in un hotel a Udine il 4 Marzo del 2018 a causa di una cardiomiopatia ventricolare aritmogena maligna. Astori si sarebbe potuto salvare, perché gli esami sotto sforzo avevano evidenziato una aritmia che avrebbe dovuto essere approfondita con ulteriori accertamenti. Secondo una super perizia, però, la morte non poteva essere evitata, in quanto l’accertamento richiesto, ossia l’holter cardiaco, non avrebbe comunque fatto emergere l’anomalia. Sebbene fosse bassa la probabilità di individuare aritmie, data la loro variabilità, gli accertamenti non sono stati comunque effettuati, e questo è il dato che ha portato a questa infelice sentenza.

Il medico è ora condannato al pagamento di una provvisionale per risarcimento danni, che ammonta a più di un milione di euro e a un anno di reclusione. Il giorno del decesso, per poter evitare la morte dell’atleta sarebbe dovuto intervenire prontamente un defibrillatore. Ciò non è stato possibile perché Astori si trovava da solo nella camera ed in più dormiva. Il suo corpo senza vita è stato trovato solo la mattina seguente.
L’unica responsabilità attribuita in questo caso è al professore Galanti, la cui negligenza non può, secondo la procura, passare inosservata.
Il caso Astori ha ricordato ai patiti del calcio un altro spiacevole evento verificatosi il 14 Aprile 2012. Stiamo parlando della morte di Piermario Morosini, accasciatosi sul terreno di gioco durante il primo tempo della partita Pescara-Livorno. La morte sul campo del calciatore livornese per via di un arresto cardiocircolatorio è sì differente per molti versi, ma accomunata dal fattore scatenante, ovvero la cardiomiopatia aritmogena. In quest’ultimo caso sul banco degli imputati sono finiti i medici delle due squadre e il medico del 118. Nonostante fosse presente un defibrillatore (cosa sfortunatamente molto rara sui campi di gioco) nessuno lo utilizzò. Secondo il giudice del Tribunale monocratico di Pescara, quel defibrillatore doveva essere utilizzato, e proprio per questa ragione i tre medici coinvolti sono stati condannati in primo grado per omicidio colposo il 13 Settembre 2016.
Nel 2018 la Corte d’Appello dell’Aquila ha confermato quasi totalmente la sentenza di primo grado. Ma nel 2019 la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna per i tre medici e disposto un nuovo processo presso la Corte d’Appello di Perugia, la quale nello stesso anno ha assolto tutti e tre gli imputati. La decisione è stata motivata dal fatto che nella sentenza d’appello non siano state considerate “le condizioni di concitazione e urgenza” in cui si è svolto il soccorso.
Monica Passamonti, legale della Asl di Pescara aveva dichiarato nel 2016 che non c’era nessuna prova certa “che bisognasse defibrillare Morosini né che si potesse procedere alla defibrillazione, visto che alcuni testimoni hanno riferito che durante i primi soccorsi il calciatore sputò la cannula e aveva polso, e dunque c’erano segni vitali”. Ancora una volta a regnare è l’incertezza; nonostante le indagini, poche sono le risposte certe. Durante il malore del calciatore, inoltre, un’auto della polizia municipale, parcheggiata all’ingresso dello stadio, aveva ritardato l’intervento dell’ambulanza di qualche minuto. Il ritardo era stato ininfluente, fortunatamente, ma anche campanello d’allarme. C’è bisogno di maggiore attenzione. In conclusione, le morti nel calcio si possono evitare? Certamente si deve fare ancora molto per diminuire le possibilità di decessi del genere (a partire da maggiori accertamenti diagnostici e finendo ad una massiccia presenza di dispositivi medici in tutte le strutture sportive), ma nulla si può dinanzi agli scherzi della Signora vestita di nero.
Articolo a cura di: Mattia Vitale