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Metropolis: occhio allo spartito. E se Wagner avesse ragione?

Metropolis (1927) è da molti considerato il capolavoro del regista Fritz Lang (ritenuto tra i più grandi maestri della storia del cinema), pellicola emblema dell’espressionismo tedesco, dai più studiata come opera che anticipa il genere fantascientifico moderno. Proprio per questo motivo la critica contemporanea si è a lungo soffermata sulla versione presentata nel 1984 dal musicista Giorgio Moroder con pellicola restaurata e colorata e una colonna sonora totalmente stravolta aderente al genere rock che sfrutta le star del momento quali, su tutti, Bonnie Tyler o Freddie Mercury. Ancora oggi questa versione divide la critica e non viene apprezzata da filologi e puristi del cinema. Il film acquista così una nuova giovinezza diventando un cult per i neofuturisti anni ’80 mentre la versione originale, con le musiche composte da Gottfried Huppertz, viene sempre messa più in ombra.



La ricostruzione della partitura musicale originale non è stata facile e per questo motivo esistono diverse versioni del film ognuna musicata da un compositore diverso aspirante a diventare capolista della tradizione di trasmissione del film. Negli anni sessanta tuttavia nella biblioteca della vedova Huppertz venne ritrovata una partitura incompleta che, unita ad altro materiale di cui si era già in possesso, aiutò gli studiosi a ricostruire lo spartito originale che, con immenso stupore, è una partitura per grande orchestra e non solo per pianoforte come la maggior parte di quelle che sono giunte a noi. In primo luogo procedendo con l’analisi della colonna sonora del film è necessario sfatare un mito: non è vero che le musiche furono scritte ispirandosi alla città di New York. Huppertz infatti compì il proprio viaggio a New York quando le riprese erano già compiute così come il montaggio.

Il compositore, che precedentemente aveva già lavorato con Lang, scrive la musica prima e durante le riprese, seguendo costantemente il regista sul set e facendo ascoltare agli attori i temi da lui composti affinché questi potessero restituire sulla banda visiva un effetto di armonia e coesione con la banda sonora che accompagna tutto il film. Lo stretto rapporto tra Huppertz e gli attori è inoltre fondamentale poiché egli fa largo uso della tecnica leitmotivica associata ai personaggi, ovvero dei temi personalizzati che si ripropongono tutte le volte che un personaggio entra in scena o viene richiamato dalla sceneggiatura agendo in funzione di richiamo e potenziamento di senso e chiarendo talvolta le relazioni tra i vari personaggi. In questa scelta Huppertz dimostra di essere un epigono wagneriano attraverso una scrittura che contribuisce a esaltare la forza espressiva delle immagini inserendosi nel novero dei compositori della transizione post-romantica che hanno influito in modo determinante sulla scrittura musicale hollywoodiana per il grande schermo.



Il compositore tuttavia supera i limiti del linguaggio post-romantico e adatta la propria scrittura ai continui e a volte repentini cambiamenti proposti dalla sceneggiatura passando dal citazionismo solenne di temi sacri fino a un sarcastico fox-trot col quale rende evidente la partecipazione al film del commento musicale come fosse una parafrasi di ciò che avviene sullo schermo sia sul piano della narrazione (molte sono le congruenze agogiche tra ritmo musicale e movimenti di macchina) ma soprattutto su quello del significato. Nel film la presenza del fox-trot accompagna le inquadrature dei macchinari e dei robot, associando le attrezzature agli strumenti a fiato protagonisti del nuovo genere che proprio in quegli anni era additato come colpevole della decadenza morale e dei costumi, condannando così per analogia anche le derive tecnologiche mostrate nelle scene in questione.


Huppertz è dunque riuscito a creare una partitura musicale che ha una propria congruenza interna ma che allo stesso tempo deriva la propria forma da ciò che accade sulla scena partecipando attivamente alla realizzazione complessiva del film.


Il capolavoro lasciatoci da Lang in stretta collaborazione col proprio fidato compositore ci lascia pensare che Wagner avesse ragione: un’opera d’arte totale –sintesi di tutte le forme espressive e rappresentative di cui gli esseri umani sono e saranno capaci – è possibile; la sua dimora è la settima arte.


Articolo a cura di: Sabrina Russo



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