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McLuhan e Cameron spiegano la censura del Primo Maggio

La festa dei lavoratori è stata protagonista di uno “spaccato” mediatico e Fedez insieme a Pio e Amedeo si sono fatti estremi speculari di un unico dibattito, riassumibile nelle infuriate parole del primo: “io sul palco devo essere libero di dire ciò che voglio”.


Perché non posso dire che un consigliere leghista in pubblica piazza […] ha detto che un figlio gay lo brucerebbe nel forno? Perché non posso dirlo?” – tuona per tutto il Grand Hotel Tremezzo l’ira del rapper milanese Fedez (ndr. Federico Lucia, rapper, cantante e discografico italiano) mentre un affannato operatore di Rai 3 si fa spazio tra le furenti accuse dell’interlocutore, cui parole non sfuggono malgrado il baccano: “le sto chiedendo soltanto di adattarsi ad un sistema [...] tutte le citazioni che lei fa non possono essere citate […] possono essere dette in contesti che non sono quelli che lei sta dicendo”.



Quella stessa sera, a solo qualche canale di distanza, andava in onda l’ultima puntata di “Felicissima sera”, lo show comico di Pio e Amedeo (ndr. comici italiani): la chiusura programmata dal duetto era ambiziosa, “liberarsi” finalmente della “dittatura” del politically correct: “se vi chiamano ricchioni, voi ridetegli in faccia perché la cattiveria non risiede nella lingua e nel mondo ma nel cervello: è l'intenzione. L'ignorante si ciba del vostro risentimento” spiegano i due comici in un monologo da una ventina di minuti “fino quando non ci cureremo dall’ignoranza di quelli che dicono con fare dispregiativo, che è quello il problema, ci resta un’unica soluzione: l'autoironia”.



La festa dei lavoratori è stata protagonista di uno “spaccato” mediatico e Fedez insieme a Pio e Amedeo si sono fatti estremi speculari di un unico dibattito, sommati dalle infuriate parole del primo: “io sul palco devo essere libero di dire ciò che voglio”.


Così il bizzarro parallelismo tra i due episodi può prestarsi come interessante punto di confronto tra le vecchie e nuove generazioni: tanto è vero che se per Barbano (ndr. giornalista e scrittore italiano) i media sono i maggiori esponenti di una cultura e se per l’Allgemeine Zeitung (ndr. testata giornalistica tedesca) il mezzo di comunicazione più usato in Italia è il televisore, c’è allora motivo di credere che la televisione sia il più grande spunto di riflessione sulla cultura italiana. Si può dunque dedurre che questa cultura, volente o dolente, si sta evolvendo verso una maggiore sensibilità nel rispetto delle minoranze.




Un overlapping a cui non si avrebbe avuto modo di assistere senza l’affermazione dei social: molti sociologi concordano nel dire che, ancor più del proprio contenuto, i mezzi di comunicazione riescono a modellare la società in cui operano, fino al punto di rendere impossibile la comprensione di quest’ultima senza una pregressa conoscenza del suo modo di comunicare. M. McLuhan (ndr. sociologo canadese) ne accennò le prime fattezze già a metà degli anni Sessanta:

“Le società sono sempre state modellate più dalla natura dei media attraverso la quale gli uomini comunicano che dal contenuto della comunicazione (M. McLuhan, 1967)


Fu tuttavia Deborah Cameron (ndr. linguista inglese) a prevedere in che misura i social media avrebbero formato la società post-moderna: anticiperà difatti la scena letterata di oltre vent’anni parlando per la prima volta di una società volta al meta-discorso, ovvero alla riflessione del discorso su sé stesso:

“viviamo in cosa potrebbe essere chiamata una “cultura della comunicazione”. […] una cultura che è particolarmente cosciente e giudiziosa della comunicazione, e ciò genera grandi quantità di meta-discorsi a riguardo” (D. Cameron, 2000)

Il meta-discorso si può dunque dire il grande stacco tra il post-modernismo e le società pregresse e il dibattito attorno alla censura è solo uno tra le tante ramificazioni di una società sempre più consapevole della propria comunicazione: aspetto non da sottovalutare, vista la differenza che una sola generazione ha portato negli schermi italiani.


L’impatto che Internet ha sulla formazione della nostra società tende ad essere così sottostimato da affidare le ragioni del gap culturale tra vecchie e nuove generazioni alla “sensibilità” degli ultimi. Tuttavia, i social media hanno un ruolo fin troppo pervasivo da poter essere ignorato non solo dai sociologi, ma anche dai soggetti che nonostante tutto fanno parte di questa stessa società.


Articolo a cura di: Sara Magnacavallo


FONTI:

https://www.repubblica.it/spettacoli/tv-radio/2021/05/01/news/bufera_su_pio_e_amedeo_per_le_frasi_su_omosessuali_ebrei_neri_il_web_e_la_poitica_insorgono-298960541/

https://it.wikipedia.org/wiki/Pio_e_Amedeo

https://www.ninjamarketing.it/2019/11/20/influencer-social-e-siti-di-notizie-ecco-come-si-informa-la-gen-z-e-cosa-cambia-rispetto-ai-millennial/

https://scotscoop.com/gen-z-is-too-sensitive/

D. Cameron, Communication Culture (2000)

McLuhan, The Medium is the Massage: an Inventory of Effects (1967)



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