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Lo spreco alimentare, le sue drammatiche cause e le (eventuali) soluzioni

Nei ristoranti o nelle catene di supermercati, nelle mense o nelle nostre case, lo spreco alimentare – duole dirlo – risponde sempre “presente”, provocando conseguenze non trascurabili in campo ambientale, economico, sociale e culturale.


Nessun momento, durante l’intera filiera alimentare, può dirsi esente da sprechi di cibo: dalla raccolta al trasporto, dalla commercializzazione al consumo, gli errori sono molteplici. Da un lato, può trattarsi di cause naturali – e quindi, imprevedibili e ingovernabili – come eventi climatici estremi; d’altro lato, e questo è il caso più frequente, può trattarsi di cause umane, quali errori in fase di raccolta o trasporto, o ancora acquisti eccessivi da parte del consumatore che, se poco attento, rischia di non riuscire a consumare i prodotti prima della data di scadenza e poi essere costretto a gettarli via.


Queste disattenzioni, per quanto agli occhi di un osservatore qualunque possano sembrare banali, in realtà, sono foriere di conseguenze non già strettamente legate al quadro nazionale ma, più chiaramente, incidenti sull’intero globo terrestre. Di seguito, già due soli dati sono sufficienti a chiarire la situazione.


La filiera agroalimentare

  • consuma circa il 30% di energia mondiale;

  • produce circa il 22% delle emissioni totali di gas serra.


Muovendo da queste percentuali, è soprattutto necessario sviluppare un quadro mondiale e nazionale, per comprendere se e in che misura intervenire, sia con misure statali – normative e amministrative – che con comportamenti individuali lodevoli.

In ottica mondiale, lo spreco alimentare – rientrante nei punti dell’Agenda Onu 2030 – dovrebbe essere contrastato per mezzo di modelli di consumo e produzione più sostenibili. Ad oggi, però, il problema maggiore è la penuria di dati disponibili: pertanto, bisogna utilizzare alcune stime probabili. Da un lato, la Fao – in base alla suddivisione del mondo in regioni – ha tracciato alcune stime sugli sprechi alimentari, dall’altro l’Unione Europea ha avviato alcune indagini nazionali. A livello globale, nel 2016, la quota di cibo sprecato è al 14% circa sul totale: il primato negativo lo detiene l’Asia centrale e meridionale, con il 20,7% di sprechi, seguita dall’America del Nord e dall’Europa con il 16% circa. Più virtuose Australia e Nuova Zelanda (6% circa) e Asia orientale (8% circa).


In Italia, sempre sulla base di indagini campionarie, l’Osservatorio permanente Cirfood, assieme alla Fondazione Feltrinelli, ha rilevato che ogni persona spreca circa 27,5kg l’anno; per converso, ogni venditore spreca all’incirca 220mila tonnellate l’anno – in pratica quasi 2,90kg a persona. Inoltre, coordinando questi dati con i risultati di altre indagini, è possibile tracciare una piccola mappa: in famiglia, le verdure sono l’alimento più sprecato; in mensa, si aggiungono anche i legumi (40g al giorno). Il progetto Reduce indica anche alcune statistiche riguardanti i supermercati, nei quali spesso sono oggetto di spreco prodotti vicini alla data di scadenza e invenduti, oppure prodotti con difetti di confezionamento: l’ortofrutta registra il dato più alto sul totale (34%), poi i liquidi (17%).



A fronte di quanto emerso, quali possono essere le buone pratiche a livello statale?

  • modificare le filiere alimentari in corte e locali;

  • realizzare programmi e campagne di sensibilizzazione ed educazione alimentare e nutrizionale;

  • introdurre nuove tecnologie;

  • riciclare i prodotti alimentari non più edibili per l’uomo per lo sviluppo della bioeconomia, per alimentazione animale oppure come compost.


E, invece, a livello individuale?

  • Prestare attenzione alla data di scadenza dei prodotti acquistati;

  • Preparare una lista della spesa, così da acquistare solo e soltanto i prodotti necessari;

  • Utilizzare applicazioni che permettono l’inserimento dei prodotti, della quantità a disposizione e della data di scadenza

  • Disporre – sia in dispensa che in frigorifero – i prodotti acquistati in ordine di deperibilità;

  • Non buttare via tutti gli scarti, così da utilizzarli per creare una pietanza buona ed economica;

  • Porzionare i pasti in base al numero di commensali;

  • E…al ristorante? Chiedere la “doggy bag”, un contenitore nel quale inserire il cibo non consumato da portare via.


In definitiva, lo spreco alimentare non solo danneggia l’ambiente ma, com’è chiaro, rappresenta uno schiaffo in faccia a tutte le persone che, purtroppo, vivono di stenti e faticano a portare un piatto caldo a tavola. Perciò, combatti anche tu lo spreco alimentare: fallo per te, per gli altri, per la Terra.


Articolo a cura di: Elenio Bolognese



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