Le Muse della poetica Metafisica
In assenza di un manifesto preciso o di un documento programmatico, nel corso del XX secolo, l’arte cede spazio non ad un movimento, bensì ad una vera e propria corrente artistica denominata da Apollinaire (dopo aver visto le opere di De Chirico) “Metafisica”, il cui significato è “dopo la fisica”. Un rapporto nuovo nei confronti della realtà, ciò sta ad esprimere un mondo appunto al di là del tangibile, della realtà sensibile, percepibile per mezzo del corpo e dei sensi. Un mondo in cui il silenzio più assoluto regna sovrano nell’immobilità e nell’ordine enigmatico delle cose, tenute a dare l’idea di mistero e desolazione e accostate senza una logica, in cui non conta né “un prima” e né “un dopo”. I tratti principali che descrivono un’opera metafisica sono: la precisa definizione delle cose, dovuta a contorni scuri sottili e netti; la fisionomia schematica e non particolarmente elaborata; la privazione di una vera e propria prospettiva e profondità dal momento che le immagini sono lisce e piatte; infine la presenza di grandi ombre monocrome. In particolare Giorgio de Chirico è il maggior esponente di questa corrente, propose al Salon des Indépendants di Parigi le sue prime opere percorse da luci irreali ritraenti: torri, manichini composti di materiali differenti e dal significato contrastante, piazze desolate, fredde e statiche statue; fondendo elementi moderni con elementi più classici.

Durante il periodo della prima Guerra Mondiale De Chirico si trovava a Ferrara (in Emilia Romagna), città metafisica per eccellenza per la sua particolare conformazione urbanistica e architettonica risalente al periodo rinascimentale; per tal motivo decise di ritrarla in una parte di sfondo in uno dei suoi celebri dipinti, “Le muse inquietanti” (1917). Nel dipinto, vi si accede seguendo una passerella fatta in assi di legno, in disarmonia con l’idea di piazza urbana. Al contempo, lo sguardo si sposta sulle due ciminiere in mattone, ormai in disuso, dipinte a fianco della città disabitata. È in oltre curioso notare che i punti di vista del quadro sono due: un punto alto per la parte inferiore e al contrario uno basso per quella superiore. Davanti alla scena sono rappresentate due figure misteriose…Quella a sinistra, in piedi, è Melpomene, Musa della tragedia; non è raffigurato un vero e proprio corpo, la parte bassa è in realtà una parte di colonna di ordine ionico, semplice, avente profonde scanalature e poggiante su un basamento circolare. Il busto rappresenta la parte superiore di una statua, mentre la testa disumana, priva di volto, ricorda i manichini utilizzati dalle sarte. A fianco, la figura seduta è Talia, Musa della commedia, che si avvolge in una stretta. La testa, simile ad una maschera africana, è presente ma non riportata sul collo, bensì la ritroviamo appoggiata o quasi abbandonata a terra.
L’opera rappresenta un’atmosfera vuota, le prospettive sono deformate, ritraggono forme provenienti da un contesto di vita, ma con essa non hanno nulla a che fare, piuttosto stanno a simboleggiare la privazione di vitalità nella realtà, la somiglianza con la morte. De Chirico suggerisce, dunque, di andare “oltre” le cose in sé, di interrogarsi sul perché della loro esistenza oltre le leggi fisiche, al cospetto dell’essenza. E qui arriviamo a capire perché scegliere di accostare il termine “inquietanti” a figure mitologiche quali le muse, protettrici degli artisti e portatrici di ispirazione. In questo caso, il compito di esse è quello indicare la via che va oltre le apparenze, che si dilunga verso il mistero, mettendoci direttamente in contatto con quest’ultimo e con la pura realtà. Il senso delle cose per l’artista non vede con la nostra stessa percezione, va oltre il tempo e soprattutto oltre la razionalità.
Poi starà ad ogni singolo osservatore indagare l’opera e passeggiare sulla strada verso l’ignoto.
Cosa ci attende?
Articolo a cura di: Matilda Balboni