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La storia dell’articolo 7- Parte 1

Uno degli articoli più discussi della nostra Costituzione è certamente l’articolo 7, che si pone l’obiettivo di regolare i rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica. Esso recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.”



Opposizioni e perplessità in merito nascono da un elemento particolare subito individuabile: l’assorbimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione italiana. Questi Patti furono firmati da Benito Mussolini e Papa Pio XI l’11 febbraio 1929, al fine di sanare la cosiddetta “questione romana” e dalla volontà di Mussolini di conquistare il supporto della Chiesa. Tra i vari punti, il concordato definiva la religione cattolica come religione di Stato, ne imponeva l’insegnamento nelle scuole e garantiva valenza civile al matrimonio religioso. È palese come questi asserti pongano nella nuova Italia la Chiesa in una posizione privilegiata e riducano notevolmente la laicità dello Stato.


Per capire le motivazioni che hanno indotto i Padri costituenti a inserire i Patti Lateranensi nell’articolo 7 della Costituzione, è necessario andare indietro nel tempo, poiché infatti questo articolo affonda le radici nella storia. Una legge datata il 13 maggio 1871, poco dopo la conquista di Roma da parte delle truppe italiane, regolava unilateralmente i rapporti tra Santa Sede e Stato. Questa, detta “Legge delle guarentigie”, garantiva al Papa, a fronte della perdita territoriale, l’inviolabilità, gli onori sovrani, alcune immunità ed esenzioni, un indennizzo e tanto ancora. Questo primo tentativo dello Stato italiano di risolvere la complicata questione relativa alla presenza e influenza del Papato, fu prontamente rigettata dal pontefice in carica, Pio IX. Quest’ultimo, con una bolla papale, proibì ai cattolici persino di partecipare alla vita politica del Paese e trascorse tutta la vita considerandosi prigioniero. Insomma, la Santa Sede si poneva in conflitto con la neocostituita Italia, impedendo ogni forma di dialogo. Tuttavia, con la morte di Pio IX nel 1878, i suoi successori Leone XIII e Pio X adottarono posizioni più progressiste. L’impegno sociale sembrava essere il nuovo fattore di coesione attraverso cui i cattolici italiani potessero riuscire a dare il loro apporto alla vita della nazione, contribuendo a un mutamento del clima politico. E in effetti Pio X nel 1905 emanò un’enciclica nella quale si indicava come dovere di un cattolico il prepararsi alla vita politica, quando egli vi fosse chiamato. Nel 1919 il capo del governo Orlando fu a un passo dall’accordo, ma questa volta a opporsi fu Vittorio Emanuele III. Nel frattempo, nacque il Partito Popolare Italiano, si intensificò l’attività dell’Azione cattolica, arrivò il fascismo e con esso i Patti Lateranensi. Un intenso lavoro di politica e diplomazia permisero a Mussolini di giungere a un compromesso con il papato, e di garantirsi il tanto agognato appoggio della Santa Sede. Infatti, la gran parte della popolazione italiana era devotamente cattolica e il Papa esercitava una forte influenza su di essa, perciò senza il sostegno papale sarebbe risultato impossibile per Mussolini costruire il suo regime totalitario, che in seguito fu detto imperfetto proprio per la presenza dell’autorità papale.



Articolo a cura di: Giacomo Sabbatini



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