La rielaborazione della Roma antica nel fascismo
Aggiornamento: 29 ott 2021
Durante il regime fascista, Benito Mussolini costruì un vero e proprio mito della Roma imperiale. Nel ricostruire l'utilizzo che il regime fascista fece delle antichità romane, bisogna prima tener conto dell’iniziale posizione politica di Mussolini.

Nel 1901 il futuro dittatore aveva scritto una poesia intitolata “Vorrei essere Bruto”, dove si identificava con un non ben definito Bruto, ma che era probabilmente Marco Giunio Bruto, il cesaricida. Si trattava quindi di una posizione ben lontana dall’esaltazione di Cesare e Augusto e dai frequenti richiami alla Roma imperiale del futuro regime. Il successivo avvicinamento di Mussolini a Enrico Corradini, leader del nazionalismo italiano, e l’influenza di Margherita Sarfatti, portarono il futuro dittatore verso un cambio di registro.
Nel 1919, con la fondazione dei Fasci italiani di combattimento, il fascio littorio entra ufficialmente nella simbologia fascista. Nel 1922 Mussolini individua ufficialmente nella Roma imperiale il modello e il riferimento del partito. Il contadino-soldato simbolo della Roma delle guerre puniche diventa l’esempio che tutti gli italiani devono seguire. Il popolo italiano, auspica Mussolini, deve mettersi in contatto e in continuità con le antiche e potenti armate di Roma.
Negli anni successivi al 1922, il regime integrò nella società italiana un’innumerevole quantità di simboli provenienti dalla cultura latina, come il celebre e fittizio saluto romano. Nel 1936, il fascio littorio divenne simbolo nazionale e nello stesso anno, dopo la conquista d’Etiopia, Mussolini dichiarò rinato l’Impero romano.
Nel 1937, per il bimillenario di Augusto, venne organizzata dal regime una monumentale mostra, che coinvolse storici e archeologi da tutto il mondo. A Palazzo delle Esposizioni, dove fu allestita la mostra, venne dedicato un intero padiglione solamente all’Italia fascista, con l’evidente scopo di porre il regime in continuità con la Roma imperiale. A ogni modo il vero scopo della mostra era un altro: paragonare la figura di Mussolini a quella di Augusto. Il Duce, che nei video e nelle foto veniva sempre raffigurato a fianco di una statua o di un ritratto di Augusto, si presentava come il nuovo fondatore della patria, proprio come il primo imperatore di Roma. Hitler stesso visitò la mostra due volte, invidiando al suo collega italiano il potersi rifare a un così glorioso passato.
Nel 1938, la ricerca storico-archeologica divenne il trampolino di lancio per le leggi razziali. La superiorità di Roma si trasformò in superiorità razziale e le stirpi italiche si legarono alla razza ariana germanica. Giorgio Almirante arrivò ad affermare che la caduta dell’Impero romano fu dovuta alla mescolanza degli italici con le popolazioni barbariche conquistate. Il cinema, come tutte le altre arti, fu presto dominato dalla propaganda di regime. Film come “Scipione l’Africano” (1937), furono realizzati sotto l’occhio vigile del Duce, che frequentemente si faceva trovare sul set. Tuttavia non tutti i registi si sottomisero. Ettore Petrolini nel 1930 realizzò un bellissimo film su Nerone, in cui appariva evidente l’intento derisorio verso Mussolini.
In conclusione, si può affermare che la distorta visione fascista della romanità passava prima al vaglio della propaganda, che a quello del giudizio storico-critico. Si potrebbe affermare anche, come nella Germania nazista, che la conquista del mondo da parte dei fascisti non era da ritenersi un fatto puramente geografico, bensì doveva passare prima attraverso una conquista della storia.
Articolo a cura di: Giacomo Sabbatini
Bibliografia:
Galasso G., Storia d’Europa, pp. 793-811, 840-870, Laterza, 2019.
Salvatori Paola S., Mussolini e la storia. Dal socialismo al fascismo (1900-1922), Viella, 2016.
Tarquini A., Il mito di Roma nella cultura e politica del regime fascista: dalla diffusione del fascio littorio alla costruzione di una nuova città (1922-1943), Centre de la Mediterranée moderne et contemporanea, 2017, pp. 139-150.
Filmati:
La mostra augustea della romanità, archivio storico luce, Giornale luce B1175 del 29/09/1937.