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La Posidonia Oceanica: quando una risorsa viene vista come un problema

La Posidonia Oceanica, pianta marina endemica del bacino mediterraneo, forma cumuli spiaggiati lungo i lidi tra l’inizio dell’autunno e la fine dell’inverno per i quali, spesso, scegliamo altre destinazioni vacanziere. Il dibattito sulla sua utilità ambientale è ancora aperto, ma le ricerche scientifiche sembrano non lasciare spazio a dubbi: mai eliminarla dal luogo in cui il mare la deposita. Vive nei fondali marini fino ai 40 metri di profondità e ha foglie nastriformi alte anche un metro, verdi chiare o scure. Sui fondali si formano delle ‘praterie di Posidonia’, intreccio di rizomi e radici che prendono il nome di ‘matte’ e occupano grandi aree.



Queste formazioni possono raggiungere diversi metri di spessore e innalzare il fondo marino, diminuendo il moto delle onde e proteggendo la costa dall’erosione. Le foglie portate a riva da vento e correnti formano la ‘banquette’ e si decompongono creando un odore nauseabondo e sgradevole per molti. Le onde danno origine a delle vere e proprie palle di Posidonia, gli egagropili, visibili altresì nelle spiagge, indice di elevata qualità ambientale e di prateria nella zona marina antistante. La pianta crea un habitat ottimale per molte specie di pesci, li protegge dai predatori e ne costituiscono il cibo. Con l’arrivo dell’estate le autorità di molti comuni costieri si attrezzano per rimuoverla, poiché credono che il paesaggio, senza di essa, sarebbe più gradito ai turisti. Molti percepiscono la sua presenza nelle nostre spiagge come un problema ambientale. A volte, infatti, la perdita delle foglie avviene in estate e in questo caso è causata dalla presenza antropica: a favorire il fenomeno è la pesca a strascico, che consiste nel pescare mediante il trascinamento di una rete sul fondale marino con le barche. Così facendo si perdono moltissime foglie che inevitabilmente verranno portate a riva. Tutto ciò causa danno all’ambiente poiché la funzione delle praterie viene ridotta. Altri fattori che influiscono sul suo sviluppo sono la rimozione delle ancore, che spesso strappa via ciuffi consistenti di fogliame e le acque torbide, che impediscono la fotosintesi.


Per questo motivo la Posidonia si è spostata sui fondali meno profondi, dove arriva più luce. In un dossier pubblicato nel 2012 è stata inclusa tra i dieci mezzi più efficaci per conservare le dune. Se la si vuole rimuovere, si può sistemare alla base di queste, laddove verrà coperta dalla sabbia e contribuirà alla formazione di nuove dune. Le praterie di Posidonia sono tutelate e considerate un habitat prioritario (nella Direttiva 92/43 dell’UE) perché sono produttrici di ossigeno, ma la loro gestione, una volta che finiscono in spiaggia, non è regolamentata da leggi che ne vietano lo smaltimento e l’incenerimento spesso avviene in discariche non progettate per bruciare tonnellate di biomassa ricca di sali minerali. Se all’inizio degli anni 2000 la si recuperava in parte per sfruttarla come materiale isolante, termico ed acustico, per imbottire materassi e cuscini o per farne suolo fertile e ammendanti, adesso è più difficile recuperarla per questi scopi, perché si mischia ad altri rifiuti lasciati dall’uomo. Nelle spiagge italiane che più pullulano di turisti viene smaltita, gettata con noncuranza in aree abusive, accumulata in zone limitrofe al luogo in cui si sono spiaggiate o immesse nuovamente in mare.



Alcune autorità hanno riconsiderato l’idea di sfruttare questo prezioso prodotto del mare per tutelare l’ambiente o per ricavarne soluzioni ecologiche. In Spagna sono state fatte ricerche per produrre pannelli isolanti per l’edilizia o un compost ricco di oligoelementi usato nella vivaistica e negli interventi di recupero ambientale. A Malta viene utilizzata per rimettere in sesto substrati pedologici danneggiati, favorire la crescita di nuove piante e restaurare aree costiere degradate. La Posidonia non è solo una pianta, ma qualcosa di più: è utile per l’ambiente, indirettamente per la pesca poiché favorisce la vita marina e potrebbe essere validamente impiegata in una serie di settori: l’industria della carta, del biogas, dei polimeri termoplastici degradabili, per il design, nel settore agricolo e zootecnico, per la cosmesi e l’erboristeria. Non resta altro che avere la volontà di lasciare che si accumuli nei litorali e al contempo di recuperarla in parte per farne un uso alternativo ed ecologico.


Articolo a cura di: Mariangela Pirari



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