La Politica, tra nemici e avversari
La nobile arte della Politica – quella con la P maiuscola, animata da profondi intenti e spirito di sacrificio, riassumibile nel concetto di “servizio alla collettività” – non può fondarsi sullo scontro personale o sul dileggio dell’altro. Eppure, al brutto ci si abitua; anzi, a qualcuno – forse può sembrar strano, però è così – il brutto piace, eccome. Se non fosse che, in questo caso, a far le spese di una politica davvero brutta è il cittadino – o meglio, chi fa estrema fatica ad apprezzare il brutto.

Fuor di metafora, mi tocca chiarire cosa intenda per “brutto”. Certamente, non alludo a questo o quel politico, non mi sognerei neanche di farlo; né tantomeno mi riferisco a questo o quel partito: piuttosto, alludo al lato brutto della politica, cioè l’avversario che diventa nemico da distruggere.
Credo che sia sotto gli occhi di tutti, di recente la politica ha subito un imbarbarimento: ognuno vede l’altro quale nemico e non semplice avversario; le sue idee, per quanto diverse dalle proprie, non possono essere ugualmente feconde, foriere di cambiamento e fonte di dialogo (anzi, di confronto direi!) ma, con mio sommo dispiacere, sono percepite come insidiose, pericolose e, pertanto, da screditare e distruggere ad ogni costo; e non solo: proprio per questi motivi, in assenza (volontaria e cosciente) di argomenti, il nemico deve essere deriso, facendo riferimento ai suoi strafalcioni (che – al massimo – possono rivelarci le sue emozioni o, se reiterati, la sua incapacità), al suo aspetto fisico o a qualsiasi altro elemento utile per tratteggiarlo a tinte fosche.
Certo, creare un nemico è sempre utile: rafforza la (presunta) identità di un gruppo, compatta i propri sostenitori e li orienta negativamente verso un bersaglio. Per questo motivo, nel corso della storia, il nemico – interno o esterno che fosse – da cui difendersi è stato quasi sempre un leitmotiv. Sin dall’antichità, un nemico interno perfetto? Catilina, ad esempio: per quanto Cicerone avesse le prove del suo complotto, non esitò a darne un ritratto di persona moralmente perversa e riprovevole. E un nemico esterno? I barbari, appellativo coniato proprio per evidenziare il loro difetto linguistico. Non solo: proseguendo nei secoli, vi sono stati altri esempi di “nemico” costruito ad arte: le streghe, gli Ebrei o i migranti. Una comunità spaventata, a causa della presenza di un nemico, è più facile da governare: è proprio così che si orienta il consenso. L’arte della costruzione del nemico, quindi, non è niente di nuovo.
Però, in un mondo digitalizzato e iperconnesso, non è raro vedere “dare in pasto” l’avversario alla propria base politica; in particolare sui social network, sui quali emerge una vera e propria de-responsabilizzazione: infatti, alcuni utenti – come se le loro parole restassero lì, in quelle “quattro mura” – spesso inveiscono contro il “nemico” di turno (e i suoi sostenitori) con insulti, minacce e offese. Una parte della comunicazione politica ha preso una direzione che non apprezzo, né condivido: la spettacolarizzazione, unita alla derisione dell’altro, è il punto più basso (il fondo del fondo del barile) della ricerca del consenso.
Per concludere, mi piacerebbe provare a far dialogare due grandi del passato. Da un lato, Umberto Eco, in un saggio che consiglio vivamente (“Costruire il nemico”), sosteneva che “cercare di capire l’altro significa distruggerne il cliché, senza negarne o cancellarne l’alterità”; dall’altro, Emmanuel Lévinas, riguardo la “relazione con l’altro” affermava che “l’Altro uomo non mi è indifferente, l’Altro uomo mi concerne, mi riguarda nei due sensi della parola “riguardare”. In francese si dice che “mi riguarda” qualcosa di cui mi occupo, ma “regarder” significa anche “guardare in faccia” qualcosa, per prenderla in considerazione”.

Pertanto, l’Altro siamo noi: come nella vita quotidiana, così in politica – che, alla fine, è la stessa cosa.
Articolo a cura di: Elenio Bolognese