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“La guerra, che felicità”: Il Futurismo

Il futurismo è un movimento letterario, artistico e politico fondato nei primissimi anni del Novecento da Filippo Tommaso Marinetti. Così come tutte le altre Avanguardie che si sono sviluppate in seguito, questo movimento vuole essere uno strappo con il passato e costituire un primordiale e reale collegamento con il futuro. Futuro etimologicamente deriva da “futurus”, participio futuro di “esse”, il verbo essere. Il processo mentale che occorre compiere per coniugare il futuro passa necessariamente per il presente, ed infatti, non è possibile giungere alla consapevolezza del domani se prima non si possiede la conoscenza dell’oggi. Il Futurismo vuole risvegliare la cultura italiana dall’immobilità, dall’estasi e dal sonno” e rappresentare tramite parole e raffigurazioni il progresso nel suo dinamismo, nella sua velocità rivoluzionaria.


Umberto Boccioni, “Carica di lancieri”, 1915

Per raggiungere tale obiettivo e per permettere che venga compreso dai più, senza dare spazio alle interpretazioni. Nel 1909 viene realizzato un Manifesto composto da undici punti che mette nero su bianco le regole che questo movimento per definirsi tale deve rispettare, indipendentemente da dove ci si trovi. Di seguito, i primi due punti dell’opera:


1. Noi vogliamo cantare l'amor del pericolo, l'abitudine all'energia e alla temerità.

2. Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.


Marinetti si finge innamorato della figlia di un ricco egiziano comproprietario del quotidiano parigino "Le Figaro" ed è così che ottiene la pubblicazione del Manifesto sulla prima pagina di quel giornale. Ne segue il Manifesto della Pittura Futurista, firmato da Boccioni, Carrà, Russolo, Severini e Balla nel quale gli artisti vengono invitati ad opporsi ad una tradizione sterile e non più degna di essere accolta. Il Manifesto tecnico della pittura futurista, scritto successivamente, darà coordinate più tecniche: “Tutto si muove, tutto corre, tutto volge rapido. Una figura non è mai stabile davanti a noi ma appare e scompare incessantemente. (...) Lo spazio non esiste più. (...) Le ombre che dipingeremo saranno più luminose delle luci dei nostri predecessori, e i nostri quadri, a confronto di quelli immagazzinati nei musei, saranno il giorno più fulgido contrapposto alla notte più cupa”.


Il verde, l’azzurro, il rosso si sostituiscono al classico bianco marmoreo. La prospettiva diventa un lontano ricordo che non sfiora minimamente il presente ed il contorno delle figure si dissolve per dividersi nei colori primari che costituiscono l’oggetto, per creare l’effetto della simultaneità. L’oggetto come l’anima, non possono essere confinati in uno spazio determinato in quanto la loro energia è troppo infinita per accontentarsi del finito.


Ciò su cui vorrei porre l’attenzione riguarda uno degli strumenti che questo movimento chiama in causa affinché il progetto possa avere attuazione: la guerra.


9. Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.

10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie di ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica o utilitaria.


La guerra come seme per il cambiamento, come l’unica in grado di stravolgere completamente la realtà precedente, come la sola che consente alla distruzione di ri-costruire. Pochi anni dopo scoppia la Prima Guerra Mondiale e diversi futuristi, tra cui Boccioni, partono per il fronte. I cavalli, protagonisti di diverse sue opere, da animali diventano macchine per il conflitto ed è proprio durante un’esercitazione equestre nel 1916 che Boccioni cade dalla sella e muore dopo poco.

Quando non si conosce qualcosa è difficile immaginarne la portata, ecco perché fare affidamento sul futuro è rischioso. Se i futuristi avessero effettivamente saputo ciò che da lì a breve sarebbe accaduto, forse avrebbero cambiato qualcosa nel loro programma: il movimento diventa strumento di propaganda politica del fascismo e gli artisti si allontanano da questo legame non voluto ma cercato coscientemente solo nell'apparenza. Quando l’uomo capirà che le vere rivoluzioni si fanno con la cultura e con il dialogo e non con le armi, forse, smetteremo di fare e di farci la guerra. O forse no.


Articolo a cura di: Emanuela Braghieri




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