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La democrazia: dall’esperienza ateniese alla democrazia digitale

Dalla democrazia diretta, passando per la democrazia rappresentativa, fino alla democrazia digitale: uno sguardo al passato e al presente, per cercare di comprendere il futuro.


La democrazia nacque nella Grecia delle poleis e attraverso un percorso travagliato di durata millenaria, è giunta fino all’età moderna, profondamente mutata.



Invero, le profonde e diverse condizioni socio-politiche, emerse nel corso dei secoli, hanno reso sempre più difficile l’applicazione pratica dei principi fondanti la democrazia ateniese, e quindi di una vera e propria “democrazia diretta”: l’aumento considerevole del numero degli aventi diritto, è un primo (forse insormontabile) ostacolo; la trasformazione della società, allora caratterizzata da una «grande semplicità di costumi» come affermava Rousseau, che oggi è senz’altro pluralistica e animata dai più svariati interessi, è il secondo problema; in ultimo, per rimanere alle enunciazioni contenute ne «Il Contratto Sociale», oggi non esiste quell’eguaglianza di «condizioni e fortune».


A causa di queste e altre condizioni, le moderne società democratiche hanno adottato il sistema della rappresentanza politica, basato sull’elezione di «fiduciari» o «rappresentanti». Operando in tal senso, però, sembra quasi che il cittadino sia davvero libero soltanto al momento delle elezioni, quando sceglie, nel segreto della cabina, il proprio rappresentante, e che dopo torni ad essere «nulla».


Pertanto, muovendo da questo assunto, l’esigenza di maggiore inclusione del cittadino nella vita politica è aumentata considerevolmente, in una democrazia del tutto rinnovata, passata da meramente politica a sociale. Le soluzioni non hanno tardato ad arrivare: già nel secondo dopoguerra, diversi Stati prevedevano alcuni istituti di “democrazia diretta”, quali il referendum – abrogativo, consultivo e propositivo – utile per chiamare in causa la approvazione popolare circa tematiche divisive e rilevanti; la petizione, veicolo delle necessità dei cittadini; la legge di iniziativa popolare, con la quale i propositori demandano ai rappresentanti la discussione di un tema ben preciso e il voto; e in ultimo la revoca degli eletti, cioè la possibilità di sollevare dall’incarico anzitempo il rappresentante eletto alle consultazioni elettorali. Con una precisazione: più che di democrazia diretta, in riferimento a questi istituti, forse sarebbe più corretto parlare di democrazia partecipativa.




Evidentemente, però, questi passi avanti non bastavano e non bastano: infatti, proprio in questo humus (in)sorge, ancora più veemente, la richiesta di democrazia diretta, che non è – anacronisticamente – quella degli antichi greci, ancora oggi adottata in alcuni piccoli comuni che, per il numero contenuto di abitanti, si prestano a tale forma di autogoverno.


In un contesto quale quello odierno, per aumentare l’inclusione del cittadino nell’assunzione delle decisioni politiche, la strada maestra non è tanto l’ingrandimento della platea degli aventi diritto – dato che, a tal proposito, l’unica soluzione potrebbe essere l’estensione del diritto di voto ai sedicenni; piuttosto, i fautori di una maggiore democratizzazione guardano con favore alla e-democracy.


Infatti, la democrazia digitale è il frutto delle numerose innovazioni nel campo tecnologico – una sorta di democrazia diretta 2.0 – che tenta di rispondere alla necessità di moltiplicare le sedi di voto, oltre che cercare di contrastare il fenomeno crescente dell’astensionismo – diffuso particolarmente in Italia.


A riguardo, una delle iniziative più interessanti – e forse anche la più singolare – proviene dall’Islanda, che aveva deciso di riscrivere l’intera Costituzione attraverso la diretta partecipazione dei cittadini e per mezzo dell’utilizzo dei social network. Anche se, personalmente, preferirei ancora oggi i nostri padri costituenti.


Invero, il vero modello da studiare è l’Estonia, che da quasi quindici anni ha aperto le porte all’e-voting: infatti, i cittadini hanno utilizzato per la prima volta il voto elettronico durante le elezioni amministrative del 2005, esperienza replicata alle politiche del 2007 e in seguito per altre elezioni. Spesso e a ragion veduta, però, il voto elettronico desta non poche preoccupazioni: difatti, ci si interroga sulla sua «segretezza», carattere inerente al voto previsto dalla Costituzione italiana. Probabilmente il voto elettronico farebbe risparmiare un’ingente quantità di denaro e potrebbe ridurre il numero di astenuti; anche se, di contro, bisognerebbe dimostrarne la sicurezza – e il rispetto di tutti i principi costituzionali a riguardo – in particolar modo per quanto concerne le elezioni che coinvolgono non già piccole comunità, ma l’intera nazione.


Per concludere, è chiaro che – pur avendo mutato forma nel corso del tempo – la democrazia non sia morta, né tantomeno debba essere accantonata, in favore di nuove (ma, pur sempre molto vecchie) pulsioni autoritarie. L’uomo solo al comando non può essere mai la soluzione ai problemi di una società plurale, aperta e tollerante.


Articolo a cura di: Elenio Bolognese



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