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La caccia nell’antica Roma

Fra i tanti svaghi con cui un antico Romano poteva impiegare il suo tempo libero, vi era la caccia. Questa divenne uno degli sport che più appassionò la gioventù romana, tanto da essere praticata anche dalle donne. Sembra che in Grecia la caccia fosse largamente diffusa già in età ellenistica, ma che a Roma fosse stata introdotta proprio dai Greci intorno al II secolo a.C. Secondo Polibio uno dei primi cacciatori sarebbe da identificare con Scipione Emiliano.


COLLABORAZIONE - Articolo a cura di: Frammenti di Storia Romana

Quando poi il costume greco mise definitivamente piede a Roma e la caccia acquistò grande rilevanza e importanza, ne vennero distinte due tipologie: la caccia agli uccelli, "aucupium" e la caccia agli animali con quattro zampe, "venatio". Quest’ultima celebrava la forza fisica e la violenza, mentre la prima, l'astuzia e l’inganno. Il cacciatore vero e proprio era il venator, pronto a tutte le fatiche, che sopporta il gelo e le nottate sui monti.


A grandi linee la venatio consisteva nello scovar la fiera e inseguirla con i cani, spingendola verso le trappole. Tra gli strumenti tradizionali del venator troviamo il venabulum, che serviva ad affrontare la belva inferocita e finirla. In pratica il venabulum consisteva in un grosso e lungo manico di legno, alla cui estremità era fissato un ferro largo e affilato, munito di due punte, che, essendo ricurve, una volta conficcate nelle carni, consentivano al cacciatore di mantenere una certa distanza di sicurezza tra sé e l’animale colpito. Tutto l’equipaggiamento per la caccia, l’instrumentum venatorium (armi, reti, cavalli ecc.), veniva portato dai servi. Compagno indispensabile dell’uomo era il cane, di cui si prendeva cura il magister canum, un servo specializzato.


Una volta arrivati sul luogo della battuta, ognuno prendeva le sue armi e svolgeva il suo compito. Gli schiavi vestigatores, tenendo a guinzaglio i cani da fiuto, seguivano le piste degli animali e tentavano di scovarli, fin quando la bestia non saltava fuori dal nascondiglio e faceva scattare l’inseguimento. Alcune, ferite, si rivoltavano contro i cacciatori e venivano finite in uno scontro corpo a corpo con l’uomo.


Tuttavia la maggior parte delle fiere si dava alla fuga, spaventate da urli e bersagliate da pietre, ma con i cani alle calcagna venivano spinte in determinate direzioni, affinché finissero nelle reti preparate in precedenza.


Oggi l’uso del fucile ha cambiato radicalmente il modo di cacciare gli uccelli, ma nell’Antica Roma una tale tecnologia non esisteva ancora e l’auceps era costretto a ricorrere all’astuzia. Il trabocchetto più semplice che l’uomo tendeva ai volatili consisteva in piccoli lacci nascosti dentro cespugli o rami. Tuttavia la tecnica dell’auceps consisteva prevalentemente nell’attrarre gli uccelli col canto e col cibo, per poi catturarli con trappole disposte in precedenza. Spesso si cospargeva il terreno di mangime ben visibile, e quando si presentava un certo numero di volatili, si tiravano su rapidamente delle reti nascoste sul terreno. I grossi rapaci si catturavano legando per le zampe una colomba viva e facendola svolazzare, dopo aver allestito nei dintorni delle grosse canne impanate. Poco di moda era invece la caccia coi rapaci.


COLLABORAZIONE

Articolo a cura di: Giacomo Sabbatini di Frammenti di Storia Romana



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