La battaglia per l’aborto
Aggiornamento: 18 mar 2021
38 a favore, 29 contrari, un astenuto. Questi sono i numeri con cui, a dicembre, il Congresso dell’Argentina ha approvato la proposta di legge sull’aborto, rendendolo un diritto pienamente riconosciuto e legale per tutte le donne argentine.

Un risultato storico, che non si sarebbe raggiunto senza le lotte e l’attivismo delle donne che da anni si battono perché la legge, in vigore dal 1921, venisse cambiata. Il loro simbolo, le bandane verdi, è diventato l’emblema della sofferenza che ogni anno decine di migliaia di donne argentine subiscono nel terminare clandestinamente le proprie gravidanze, con 257 decessi solo nel 2018. Prima di questi ultimi mesi, infatti, l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) era concessa soltanto se la salute e/o la vita della donna fossero state gravemente in pericolo, oppure se la gravidanza fosse stata la conseguenza di una violenza sessuale.
Questo traguardo è ancora più importante alla luce della grande tensione che il dibattito ha generato: i movimenti anti-abortisti non hanno cessato di far sentire la propria voce e di mettere pressione politica affinché la legge non fosse approvata. In un paese in cui la presenza della Chiesa cattolica è ancora estremamente influente nella vita sociale e nell’opinione pubblica, raggiungere un simile risultato ha un significato più profondo che in molti altri Paesi. In America Latina, infatti, solo in Guyana, in Uruguay e a Cuba (dal 1965, per giunta) la IVG è legale, mentre la maggior parte delle Nazioni ha delle leggi estremamente severe a riguardo, a volte proibendo totalmente l’aborto o condannando al carcere coloro che vi ricorrono. La speranza degli attivisti argentini è che questo cambiamento possa espandersi anche nei paesi limitrofi, consentendo a chi vuole interrompere la propria gravidanza una sicurezza sanitaria a cui altrimenti non avrebbero accesso.
Un altro Paese nel quale la discussione sull’aborto si sta infiammando nell’ultimo periodo è la Polonia, ma con una situazione opposta a quella che troviamo oltreoceano: il governo polacco, infatti, ha imposto un divieto pressoché totale sulle IVG, negandole anche in caso di malformazioni del feto, rendendo di fatto inapplicabili il 98% degli aborti condotti legalmente in Polonia. Il Paese, che già aveva alcune delle regole più severe d’Europa legate all’IVG, compie ancora un passo indietro nel riconoscimento di un diritto ai suoi cittadini, che si sono riversati nelle strade di Varsavia e delle principali città polacche per protestare contro la decisione del governo. Una mobilitazione popolare che non si vedeva dai tempi di Solidarność, quando ancora la Polonia era sotto il regime comunista.
Anche la Polonia è un Paese in cui la Chiesa cattolica ha un grandissimo peso sull’opinione pubblica, ma contrariamente a quanto è avvenuto in Argentina essa ha contaminato il dibattito politico, condizionando l’ideologia fondante del governo di estrema destra anti-europeista della Polonia sta conducendo, fra cui la discriminazione della comunità LGBTQ+ e la sua (non)politica di integrazione xenofoba. Sorprende pensare che ciò avvenga alla luce del sole in un Paese membro dell’Unione Europea.
Tornando entro i confini nazionali, in Italia la IVG è permessa dal 1978 entro i 90 giorni dal concepimento e può essere effettuata tramite metodo farmacologico o chirurgico. Tuttavia, un ostacolo significativo all’aborto è l’obiezione di coscienza, praticata dal 70% dei medici italiani, con punte superiori al 90% in Molise, Basilicata e Trentino-Alto Adige. Per di più da pochi mesi la regione Umbria, all’interno delle misure sanitarie per il controllo della pandemia da Coronavirus, ha deciso di impedire l’aborto farmacologico in day hospital, consentendolo solamente in un periodo di ricovero di tre giorni. Tutto ciò comporta una chiara dissuasione dalla pratica, poiché gli ospedali in periodi di pandemia sono luoghi in cui è facile subire un contagio, specialmente durante un ricovero prolungato. Insomma, sono numerosi gli ostacoli che tendono a disincentivare la IVG, nonostante sulla carta si tratti di un diritto garantito da decenni.
Riflettendo sul caso dell’Argentina, i numeri ci mostrano che, nonostante l’aborto fosse considerato una pratica illegale nella maggioranza dei casi, ciò non ha impedito alle donne argentine di ricorrervi: al contrario, secondo un’inchiesta del ministero della sanità argentino, 450.000 donne ogni anno ricorrono clandestinamente alla IVG. Le misure restrittive quindi non hanno alcun effetto deterrente, ma incentivano il ricorso a pratiche clandestine, senza dubbio non altrettanto sicure rispetto a quelle che si potrebbero svolgere nelle strutture sanitarie. Se si vuole davvero preservare la salute delle donne, come molti movimenti pro-vita sostengono, l’unico modo efficace per farlo è garantire un aborto sicuro e legale per tutte.
Articolo a cura di: Elisa Matta