La banalità dell’essere umano
Cosa abbiamo imparato dal passato? Potremmo dire niente: abbiamo stretto accordi, firmato trattati, ma ancora in questo benedetto, assurdo, mondo si dichiara guerra. L’essere umano con la sua avulsa smania di dominare l’altro, di accaparrarsi nuovi territori, di essere il più forte combatte. Tanto, ieri come oggi, sono sempre gli stessi a pagare le spese, quelli che non sanno neanche il vero motivo per cui si sta combattendo, mandati ad uccidere i propri “fratelli”, con i quali, magari, fino a poco tempo prima trascorrevano le proprie giornate negli stessi luoghi in cui riecheggiano le sirene per un imminente bombardamento.

Oggi come in passato, gli artisti si sono mostrati particolarmente sensibili a riguardo, protestando, ognuno con la propria forma espressiva, contro la guerra e le sue conseguenze. Tra questi ricordiamo il pittore e incisore spagnolo, Francisco Goya, molto attivo nell’ambito della denuncia sociale.
Di particolare rilievo è Les desastres de la guerra (I Disastri della Guerra ), una raccolta di 82 incisioni, realizzata nel decennio tra il 1810 e il 1820. In questa serie, l’artista registra con un importante realismo le atrocità commesse durante il conflitto per l’indipendenza spagnola.
Si possono distinguere tre grandi categorie: l’orrore, la carestia e la satira. È possibile che egli avesse concepito l’idea di questo ciclo nel 1808, quando il governatore spagnolo di Saragozza, il generale Palafox, lo invitò a constatare con i propri occhi la devastazione provocata da un recente assedio durante il quale il popolo aveva difeso la città contro i nemici francesi per 61 giorni. L’artista accettò, ma lasciò ben presto a causa di un nuovo assedio da parte dei francesi, per poi portarli a compimento nel decennio successivo. La rappresentazione grafica della crudeltà e della brutalità è senza precedenti. Non compaiono scene belliche strutturate, non ci sono duelli né soldati in armi e non viene fatto appello a nessun senso di giustizia o di patriottismo. Le incisioni sono una conferma della bassezza raggiunta dall’umanità: stupri, torture, mutilazioni e omicidi. L’aspetto più agghiacciante resta l’anonimato degli aggressori: in “Io l’ho visto” le madri fuggono con i loro figli da un nemico invisibile e in “Non si può guardare” un gruppo di persone si rannicchia terrorizzato alla comparsa di una fila di canne di fucile.
Proprio per l’assenza di particolari riferimenti spazio-temporali queste incisioni sono “universali”, ricordano le scene a cui assistiamo tramite i social e i telegiornali. Sono cambiate le divise dei soldati, le armi, i luoghi ma è rimasta la banalità dell’essere umano.
Pensavamo di esserci liberati, invece, come una costante questa si ripropone nelle dichiarazioni di guerra, camuffate e non, nella distinzione in persone di serie A e persone di serie B, per cui nei confronti dei primi si dimostra una particolare cura all’accoglienza rispetto ai secondi, ai quali viene molto spesso negata ogni forma di aiuto.
Articolo a cura di: Giada Toppan