L’Italia non è ancora pronta per il riformismo?
Le immagini circolate in rete pochi giorni fa parlano chiaro: quella sul Ddl Zan è stata una battaglia tutt’altro che ordinaria. Non si tratta banalmente di uno scontro politico – o, come si è cercato di definirlo con giustificazioni poco convincenti, addirittura ideologico – i cori da stadio che hanno invaso il Senato evidenziano il ruolo strumentale assunto dal Parlamento a discapito di una estensione dei diritti della popolazione: non semplicisticamente di una proposta di legge affossata a causa di alcuni articoli oggetto di aspro dibattito. Si tratta di un episodio sintetizzato in maniera puntuale da Carlo Calenda: un “brutto spettacolo”; già, perché di questo si tratta. Poco effetto suscitano quei deboli, e forse non sufficientemente convinti, “Vergogna”, nelle aule di Palazzo Madama, a fronte delle esultanze sfrenate per quella che, a quanto pare, viene ritenuta dal cdx italiano come una vittoria.

Nel frattempo, Pd e M5S, colgono la palla al balzo per coprire lo smacco, concentrandosi sull’identità dei cosiddetti “Franchi tiratori” – che sfruttando il voto segreto avrebbero sgretolato la solida maggioranza acquisita dal Ddl un anno fa alla Camera – o ancora sul ruolo giocato da Italia Viva nell’esito delle votazioni. Certo, probabilmente il partito di Matteo Renzi – in quel momento direttosi in Arabia – avrà notevolmente contribuito all’affossamento del Disegno di legge Zan e ciò consente di riflettere attentamente sulla supposta incertezza di IV nel suo posizionamento all’interno del contesto parlamentare – il gruppo politico sembra sempre più orientato verso le destre, invece che allo sviluppo di un polo centrista coerente e realmente credibile, come da programma originario; tuttavia, rimane pur sempre una considerazione marginale se valutata nell’ottica di un fallimento grossolano in ambito di diritti civili. Evidentemente non può che rammaricare la constatazione che i gruppi parlamentari al momento stiano prestando prevalentemente attenzione alle rispettive mire sul Quirinale, in vista della prossima scadenza del mandato del PdR, ma questo non può assolutamente essere considerato l’unico elemento degno di nota circa il Ddl Zan, relegando la sua mancata discussione in Senato, e quanto è immediatamente seguito, ad uno spazio periferico del pubblico dibattito.
Semmai, anzi, è fondamentale interrogarsi sulla sostanziale distanza – ormai sempre più evidente – di buona parte dell’attuale classe dirigente dalla popolazione che – in questi casi quasi utopisticamente – dovrebbe rappresentare, non soltanto sul piano ideologico, ma anche, pragmaticamente, da un punto di vista generazionale. I rappresentanti istituzionali eletti dimostrano, in maniera quasi paradossale, una notevole arretratezza su tematiche basilari che dovrebbero apparire tutt’altro che divisive alla luce dell’orientamento generale della società moderna.
Naturalmente la lotta per l’estensione dei diritti civili non può ritenersi qui conclusa, piuttosto un episodio di tale portata non farà altro che infiammare ulteriormente il dibattito a riguardo. Ciò che preoccupa è – che si tratti sempre del suddetto Ddl Zan o di un suo successore spirituale – che l’argomento non venga più affrontato durante il corso dell’attuale legislazione, rilanciando la proverbiale patata bollente ai nuovi (sempre che di nuovi, e non del solito rimpasto di volti visti e rivisti, si tratti) arrivati. Il leader del Carroccio, nel frattempo, si dice addirittura aperto ad una immediata ridiscussione in merito alla tematica, pur demarcando le presunte criticità del Disegno di legge Zan e l’arroganza in questi giorni accostata al Csx. Quanto le affermazioni di Matteo Salvini siano da dar per veritiere ce lo potrà dire solo il tempo.
Come detto di sopra, si tratta di una battaglia ancora aperta, ma siamo certi che il procrastinare – tipico delle istituzioni nostrane – su tematiche attualissime, ma sempre più o meno avvolte da un vetusto velo di stigma sociale, sia ancora oggi tollerabile? Forse sarebbe il caso di superare una volta per tutte campanilismi a dir poco anacronistici che ancorano il paese ad una realtà ben lontana da quella attuale, rappresentata dalle decine di migliaia di cittadini che negli ultimi giorni si sono riuniti in piazza per dar voce al proprio pensiero e che poco si rispecchiano non soltanto nella pessima figura che le istituzioni italiane hanno mostrato ai colleghi esteri, ma specialmente nella mancanza d’umanità e onestà intellettuale nel riconoscere l’urgenza della presenza dello Stato in contesti tristemente diffusi e che necessitano di una tutela certa e affidabile.
Articolo a cura di: Antonino Palumbo