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L’essenza del carnevale sardo in tre dolci

Carnevale è il periodo dei carri, dei colori, della musica e dei balli scatenati. A partire dal 17 gennaio, giorno in cui la Sardegna celebra la festa di Sant’Antonio Abate, l’isola si popola, per qualche settimana, di maschere indissolubilmente legate alla tradizione agropastorale. Le figure la cui storia è connessa a riti pagani ancestrali e misteriosi, sono caratterizzate da un’imponenza che incute timore e allo stesso tempo regala fascino. Basti pensare ai ‘Mamuthònes’ di Mamoiada, paese del nuorese, chenel loro sfilare eseguono all’unisono passi cadenzati sbattendo le schiene cariche di campanacci, vestiti con una maschera nera in legno e una pelle secca di pecora. Sono sempre accompagnati da ‘Sos Issoccadòres’, che portano all’altezza della vita uno scialle colorato ricamato e il cui nome deriva da ‘s’issocu’, lazo che lanciano tra il pubblico.


foto di Giovanni Pisanu

Altri paesi celebrano con maschere tipiche (Ottana i suoi ‘Bòes e ‘Merdùles’), manifestazioni a cavallo (Oristano ‘Sa Sartiglia’) e non (‘Lu Carrasciali’, traduzione di carnevale in Gallurese, a Tempio Pausania). Alla variabilità delle maschere, incantevoli per il portamento e l’abilità nell’impersonare scene tipiche della realtà pastorale, corrisponde una varietà altrettanto ricca di dolci tipici dal nome diverso in paesi anche poco distanti. Tre di questi sono da non perdere sesi visita la Sardegna in questo periodo: ‘sas cattas’, ‘sas orillettas’ e ‘sos culinzones de mendula’.


Le prime, dette anche thippulas o vuvusones nel Nuorese e frisgioli longhi a Tempio Pausania, possono essere considerate l’equivalente sardo delle classiche zeppole. Sono frittelle lunghe arrotolate su sé stesse a mo’ di spirale, fatte di pasta lievitata arricchita con strutto, scorza d’arancia, zafferano e anice o acquavite. Hanno questa forma perché vengono versate nell’olio caldo con un imbuto e vengono servite cosparse di zucchero.


‘Sas orillettas’ sono fatte di ‘pasta violàda’ (semola di grano duro e strutto), aromatizzata con dell’acquavite, il composto viene poi fritto nell’olio e immerso nel miele bollente. A seconda della forma o della zona hanno nomi diversi: a Nuoro si creano strisce sottili con i bordi a zig-zag, ripiegate su se stesse e unite con un andamento a fisarmonica, mentre a Mamoiada si chiamano ‘trizzas’ e hanno la forma di due grossi spaghetti intrecciati, così come in Gallura (dove però si chiamano ‘azzuleddhi’ o ‘acciulèddhi ‘e meli’, ovvero piccole matasse di miele).


L’ ultimo pasticcino che non può mancare nel ‘tour’ culinario del carnevale sardo è rappresentato da ‘sos culinzones de mendula’ (ravioli di mandorla). Ripieni con pasta di mandorle, zucchero e scorza di limone, sono anch’essi fatti di ‘pasta violàda’ e

particolari perché al momento della chiusura dell’impasto l’aria all’interno delle sfoglie non viene tolta, in modo tale che durante la cottura in forno il dolce si gonfi. La pasta non viene fatta dorare rimanendo bianchissima e croccante e una volta raffreddata, si abbellisce con glassa e diavoletti argentati. Questi dolcetti si preparano a Santu Lussurgiu, paese dell’oristanese in cui per tre giorni l’anno cavalli e uomini in maschera si scatenano in una manifestazione equestre conosciuta come ‘Sa Carrela ‘e Nanti’ (la strada davanti), correndo nella pericolosissima discesa della strada principale dell’abitato.


Insomma, anche se a qualcuno non piace mascherarsi, ballare o bere alcolici, di sicuro non lascerà la festa a stomaco vuoto.


Buon appetito!


Articolo a cura di: Mariangela Pirari



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