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L’assedio di Ascoli Piceno: due anni di resistenza a Roma

È l’anno 89 a.C., l’esercito romano guidato da Gneo Pompeo Strabone si dirige verso la città di Ausculum, oggi Ascoli Piceno, punto caldo per Roma che dal 91 a.C. si trova a dover fronteggiare la Lega Italica nella Guerra Sociale.



La battaglia di Ascoli Piceno è sicuramente uno dei punti fondamentali nella storia della guerra sociale per Roma: difatti, a guidare l’armata dei ribelli italici a difesa della città, c’è proprio il comandante della Lega Italica, Gaio Iudacilio, personaggio controverso ma dalle abili capacità militari.


Allo scoppio della guerra sociale, causata dall’uccisione a Roma di Marco Livio Druso, il senato romano getta l’attenzione sulla città di Ascoli, iniziando a tessere alleanze con popoli che si sono ribellati a Roma. Per porre sotto controllo la situazione viene spedito nella città Gaio Servilio. Una volta che questi vi fa ingresso insieme ai suoi soldati, si reca nell’anfiteatro, tra l’altro ancora oggi visibile, dove gli ascolani e i magistrati si sono riuniti per assistere ai giochi. Prende la parola e, a gran voce, rimprovera esplicitamente l’atteggiamento ostile della città, minacciando e sottolineando chiaramente il potere che ha Roma sul suolo in cui si trova.



Gaio Servilio, insieme a chi lo accompagnò, fu massacrato per quell’atto indegno e la stessa sorte toccò a tutti i romani presenti nella città. Fu allora che la guerra scoppiò definitivamente. Si formò una lega Italica, capeggiata da Iudacilio e da due ascolani, Publio Ventidio Basso e Tito Lafrenio, mentre ad Ascoli fu inviato il console Strabone, che, ironia della sorte, proveniva proprio dal Piceno e qui possedeva ampie proprietà terriere.


L’assedio durò ben due anni e fu rotto dall’intervento di Iudacilio, destinato però a soccombere ai colpi dell’esercito romano. Una volta che Roma espugnò la città, Iudacilio comandò di uccidere i prigionieri, i suoi nemici e tutti coloro che si erano arresi al potere di Roma. Infine, si uccise ingerendo del veleno.


Roma allora procedette con le rappresaglie e i massacri, ponendo fine nel 89 a.C. alla rivolta ascolana, tralasciando però lo stesso Publio Ventidio Basso, che secondo la tradizione fu portato a Roma come bottino, dove in seguito diverrà uno degli amici personali di Gaio Giulio Cesare.


Articolo a cura di: Marco Mariani



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