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Kafka e il valore della resistenza

Un profeta. Un visionario. Uno scrittore. Così Franz Kafka è stato definito dagli studiosi. Etichette che ha sempre cercato di eludere, perché amava essere ambiguo. Essere e non essere. È l’unico e ultimo suo desiderio era quello di essere avvolto dall’oblio. Dimenticato. Delle sue opere non doveva rimanere più nulla che non fosse cenere. L’amico di una vita, Max Brod, non ascolta le sue volontà e pubblica tutte le opere inedite post mortem, malgrado alcune siano rimaste incompiute.



È risaputo che il cattivo rapporto con il padre, uomo austero contro cui “si è completamente disarmati”, abbia segnato la vita dello scrittore fino a riversarne l’angoscia e il dolore sulla carta. La Lettera al padre” costituisce la chiave di volta che permette al lettore di accedere alle restanti opere, poiché la sua ombra serpeggia costantemente tra le righe in modo quasi ossessivo. E se nella vita privata Kafka altro non fu che un amante della vita e della letteratura, nei suoi scritti venne fuori un quadro perlopiù drammatico: pericolosamente passivo e malinconico, troppo debole per lottare, ma forte al punto da resistere dinanzi alle avversità peggiori.


Contrariamente a quanto emerge, i romanzi di Kafka ci insegnano a non mollare. A non lasciarci soggiogare dal male. Ma a resistere. Le situazioni paradossali in cui si trovano i protagonisti, ora mutati in un insetto ora arrestati ingiustamente, appaiono quasi normali agli occhi dello scrittore, che cerca al contempo di cambiare la prospettiva di chi legge. Come se non fosse insolito adattarsi alla metamorfosi anziché combatterla. Quasi fosse normale essere calunniati e giustiziati senza alcun motivo e alcun processo.


Curiosi, poi, questi incipit somiglianti: “Una mattina Gregor Samsa si svegliò trasformato in un enorme insetto”; “Una mattina Josef K. venne arrestato”. Perché questa continua ricorrenza alla mattina? Quale significato allegorico può celarsi se non la speranza? Sì, perché nonostante Franz, le speranze, le abbia perse tutte, non smette mai di cercarle. Ci crede davvero che la mattina seguente tutto possa cambiare ed evolversi, ma questo non vuol dire certo cullarsi davanti alla finestra aspettando l’avvento di un nuovo giorno. No. Badate bene, perché quando il domani giunge potremmo ritrovarci trasformati in un insetto o potremmo essere arrestati. Allora è il caso di dire che la suddetta speranza sia perlopiù illusoria. In fin dei conti era solito dire che nel mondo c’è molta speranza. Ma non per noi. Kafka ci insegna che dobbiamo morire prima di vivere davvero. Che moriamo e rinasciamo continuamente. Ma soprattutto ci pone di fronte alla cruda verità: il male esiste. Guardarlo in faccia è già il primo passo. Ci insegna che esiste un fondo ancora più fondo. E spesso nessuna via d’uscita. È allora che dobbiamo stringere i denti. E resistere.

Kafka ci permette di combattere le paure a quattro mani: le nostre e le sue.


COLLABORAZIONE - Articolo a cura di: Margherita Tumminello di @margheperilsociale

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