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Il terrore dietro Zaire - Brasile nel mondiale del 1974

Il calcio è sicuramente uno degli sport più amati e seguiti del mondo e i relativi mondiali rappresentano un appuntamento sportivo di incredibile importanza. Ma ciò che accadde il 22 giugno 1974 nella partita tra Zaire (oggi R.D. del Congo) e il Brasile non ha precedenti nella storia.



La qualificazione alla fase finale del mondiale rappresenta per lo Zaire un evento di straordinaria importanza. Probabilmente l’uomo che più era felice per questo successo, era il dittatore dello stesso Zaire, Mobutu Sese Seko, il quale aveva ottenuto il potere assoluto deponendo il governo democraticamente eletto di Patrice Lumumba, con l’appoggio di Belgio e Stati Uniti, e vedeva nel calcio un fondamentale mezzo di propaganda e di affermazione internazionale.


Nonostante le condizioni di estrema povertà e miseria in cui versava il suo paese in quegli anni, Mobutu non si fece mai alcuno scrupolo a disporre delle casse dello Stato come fossero proprio personale patrimonio, al punto che il suo governo fu definito una “cleptocrazia”. Infatti, proprio per l’importanza politica che attribuiva al calcio, omaggiò i giocatori dello Zaire per il traguardo raggiunto donando loro una casa e un’auto e promettendo laute ricompense qualora fossero riusciti ad ottenere risultati soddisfacenti anche durante la fase a gironi.


Nella prima partita lo Zaire affrontò la Scozia e, nonostante la buona prestazione della squadra, perse per 2-0. Nella seconda partita, invece, avrebbe affrontato la Jugoslavia, una squadra tecnicamente superiore allo Zaire, anche se quest’ultimo, dopo la discreta prestazione contro la Scozia, avrebbe potuto giocare le proprie carte. Tuttavia, poche ore prima del match, i calciatori furono informati del fatto che, anche se avessero giocato bene o, addirittura, se avessero vinto, non sarebbero comunque stati ricompensati. I calciatori si ribellarono a questa ingiustizia, minacciando di rifiutarsi di scendere in campo. Le minacce dei calciatori servirono a poco, infatti furono costretti a disputare comunque la partita perché qualora non lo avessero fatto sarebbero stati arrestati e imprigionati al ritorno in patria.


Decisero, quindi, di prendersi la propria vendetta con l’unico modo che era loro rimasto, ovvero “sabotare” la partita, infatti lo Zaire perse quel match ben 9-0, risultato unico nella storia dei mondiali, ma la reazione del dittatore non tardò ad arrivare e fu anche molto spietata. Subito dopo la partita con la Jugoslavia i giocatori furono avvertiti che se, nell’ultima partita di un mondiale già perso, avessero perso per più di 3-0, al ritorno sarebbero stati tutti uccisi insieme alle persone più care. Più che una minaccia fu una vera condanna a morte, perché l’ultima partita era contro il Brasile, una delle favorite per la vittoria del mondiale.


Il Brasile stava dominando la partita e al minuto 85, già in vantaggio di tre reti, gli fu concessa una punizione al limite dell’area di rigore, sul pallone si avvicinò Rivelino, uno dei tiratori più precisi e letali di sempre. Ed è qui che inizia la storia di Joseph

Mwepu Ilunga, un uomo che compì un gesto unico nella storia e che portò dietro il suo segreto per trent’anni sopportando la derisione e le vessazioni del mondo intero. L’arbitro fischiò e Rivelino stava per calciare quando Joseph Mwepu, probabilmente spinto dalla più profonda paura e disperazione, uscì dalla barriera e calciò lontano la palla, lasciando lo stadio stupito, i calciatori increduli. Joseph si giustificò dicendo che se la palla non fosse stata calciata tre secondi dopo il fischio poteva essere calciata dall’avversario. Fu ammonito, ma il gesto fu sufficiente a distrarre Rivelino che sbagliò la punizione e la partita terminò pochi minuti dopo col risultato di 3-0 per i sudamericani.


Il giorno dopo i giornali di tutto il mondo riportarono la notizia e definirono ironicamente il gesto come scarsa conoscenza del regolamento calcistico nei suoi livelli più basilari. Joseph fu utilizzato per molti anni come esempio di scarsa conoscenza del regolamento, il suo volto riconosciuto e il suo nome schernito. Nel 2002 ruppe il suo silenzio e finalmente confessò il suo segreto ad un giornalista della BBC che gli chiese, in maniera capziosa ed ironica, il perché di quel gesto. Il giornalista di fronte alla dichiarazione ebbe una reazione di vergogna e stupore, la stessa che avrebbero dovuto avere i giornali di tutto il mondo, dopo averlo schernito e deriso per circa trent’anni.

La storia di Joseph è la storia di un uomo che compì un gesto estremo per aver salva la vita, la prova di come il mondo sappia essere crudele con chi ha già sofferto. Ma è anche una lezione morale che può essere riassunta con una frase di Honoré de Balzac: “Per giudicare un uomo bisogna almeno conoscere il segreto del suo pensiero, delle sue sventure, delle sue emozioni”.


Antonino Cuppari



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