Il cinema che insegna l’amore
Aggiornamento: 1 mar 2022
È sabato sera, ti lanci sul letto con il cartone della pizza fra le mani e accendi il computer: hai alle spalle un'intera settimana di stanchezza arretrata e vuoi solamente riposarti, dunque cerchi qualche film su Netflix. Vedi tante locandine ma nessuna di queste ti intriga al punto da volerci trascorrere le successive due ore, poi ne scorgi una che sembra carinae ti domandi se sia o no il caso di fare click su "Riproduci". Sto parlando del film "Tutta colpa di Freud", diretto da Paolo Genovese e uscito nelle sale italiane nel 2014... e il mio consiglio è senza dubbio quello di guardarlo.

Prima della fortunata coppia di protagonisti Alessandro Gassman – Marco Giallini, la pellicola vanta un cast d'eccezione in cui troviamo altri volti notissimi del cinema italiano: Claudia Gerini, Anna Foglietta, Vittoria Puccini, Maurizio Mattioli, Paolo Calabresi, Edoardo Leo e Daniele Liotti, solo per citarne alcuni. Il film si apre con le presentazioni di Sara, Marta ed Emma, tre sorelle di età compresa fra i 18 e i 32 anni. La prima vive a New York ma torna in Italia dopo essere stata lasciata dalla sua partner, la seconda gestisce la libreria del nonno e la terza frequenta l'ultimo anno di liceo. Nel tentativo di aiutare le ragazze a migliorare la propria vita sentimentale, il loro padre single Francesco, analista di professione, inventa strategie per direzionare il flusso delle cose secondo la sua volontà, senza però riuscirci. Infatti, la prima figlia mantiene la ferma volontà di diventare etero, suscitando il panico del padre che è ormai da anni abituato all'omosessualità della ragazza, la seconda si innamora di un uomo che le sottrae di nascosto dei libri dal negozio e la più piccola è in procinto di andare a Parigi con l'uomo che ama, sposato e coetaneo di suo padre.
Tutte queste vicende, grazie all'abilità del maestro Genovese, finiranno con l'intersecarsi numerose volte fino a diventare una sola cosa, come cerchi nell'acqua. Ma prima che ciò avvenga, sarà necessario lasciarsi commuovere dalla tenerezza dell'amore fra la libraia Marta e il "ladro" Fabio (interpretato da Vinicio Marchioni).
Affascinata dal misterioso cliente che spesso entra nel suo negozio senza comprare mai alcun libro, un giorno Marta decide di seguirlo fra gli scaffali e vede che lui le ruba dei piccoli volumi di opere teatrali, come Don Chisciotte e Turandot. Insospettita, lo pedina e, raggiunti gli amici che lo attendono seduti ai tavolini di un bar, capisce che Fabio è sordomuto; in un secondo momento scopre che lui lavora al teatro dell'Opera di Roma e che segue su carta le rappresentazioni che può vedere ma – per cause di forza maggiore – non può sentire. Superato l'iniziale timore di lui, l'entusiasmo di lei dà il via a una relazione delicata e tenera, che vede Marta annullare ogni barriera e amare sinceramente una persona apparentemente molto diversa da lei. I due si scrivono bigliettini e messaggi sullo specchio, e Fabio le fa sentire con le mani le vibrazioni della musica da una cassa acustica - unico modo che lui ha di percepire le note musicali. Eppure, anche in un tale idillio non mancano le incomprensioni: lei lo invita al ristorante ma ne sceglie uno che ha le luci troppo soffuse e ciò gli rende difficile la lettura del labiale, così come saluta affettuosamente una sua vecchia fiamma (beata ingenuità) e Fabio si offende perché non riesce a capire cosa si stiano dicendo né quale rapporto intercorra fra i due. Ma il primo passo, quello vero, quello grande, vede Marta dirigersi verso una scuola di LIS (Lingua Italiana dei Segni) e chiedere di poter seguire delle lezioni per comprendere meglio le necessità di Fabio, vestendone in toto i panni.
Ancora una volta, dal cinema italiano emerge una pepita che non può essere sottovalutata. Questo film è lo specchio di quella che è già la nostra società attuale e che si prospetta essere anche quella del futuro: una società più accogliente, più aperta, in cui le barriere di anacronistici schemi mentali vengono abbattute in favore della solidarietà reciproca e del rispetto incondizionato. Marta e Fabio non sono i personaggi secondari di un lungometraggio che ha saputo ben giocare le sue carte, mi si perdoni il cinismo, ma sono ciascuno di noi nel momento in cui decidiamo di cambiare prospettiva e di guardare lo stesso orizzonte del fratello che vuole parlare ma non ha parole per farlo. E, mai come in questo caso, non in senso metaforico.
Articolo a cura di: Benedetta Pitocco