I Maya e le stelle
I Maya furono un popolo “con un occhio per terra e uno al cielo”: nella loro pur nebulosa storia, ricca di zone d’ombra e di leggende più o meno fantasiose, seppero osservare il tempo e le stelle probabilmente meglio di qualunque altro popolo, elaborando calendari precisissimi e che facevano risalire la loro storia fino a ventitré miliardi e quaranta milioni di giorni.

I Maya si stabilirono nella penisola dello Yucatan (oggi nel Messico meridionale) approssimativamente intorno al 2000 a.C., abitandola fino alla colonizzazione spagnola del XVI secolo. La loro civiltà si sviluppò lungo due periodi: il “Vecchio Impero” e il “Nuovo Impero”. Durante il Vecchio Impero, i Maya si distribuirono in maniera più o meno omogenea in diverse città-stato di piccole dimensioni, che avevano una cultura e una lingua comune e intrattenevano scambi commerciali.
Queste città-stato furono progressivamente abbandonate a partire dall’anno mille, per motivi ancora non del tutto chiari agli storici. Passato questo periodo, una tribù di lingua maya, gli Itzà, si stabilì insieme ai toltechi (altro popolo precolombiano non affine ai Maya) nella città abbandonata di Chichén Itzà, rimodernandola e rendendola la loro casa.
È da qui che nacque il Nuovo Impero, il rinascimento della cultura maya, ed è qui che i Maya stessi cominciano a documentare la loro storia.
I Maya erano una società fondamentalmente teocratica in cui i sacerdoti, considerati il tramite fra l’uomo e gli dèi, costituivano la classe dominante della società insieme ai nobili; d’altronde, ogni aspetto della vita dei Maya aveva un significato e uno scopo religioso, come i mesi dell’anno, ciascuno dedicato a un dio preciso con le sue celebrazioni. La loro stessa origine è ammantata di leggenda: gli Itzà che diedero vita al Nuovo Impero, dissero di essere stati condotti dal dio Kukulcàn in persona, che presso gli Aztechi prenderà il nome di Quetzalcóatl, il serpente piumato che incarnava la saggezza e la rettitudine.
Come abbiamo detto, i Maya prestavano la stessa attenzione alla terra e al cielo; o meglio ai cieli, ben tredici, dove dimoravano gli dèi e che altri quattro dèi sostenevano in corrispondenza dei punti cardinali, mentre il mondo intero riposava sul dorso di un coccodrillo. Anche i Maya, inoltre, come la maggior parte dei popoli antichi, avevano la loro versione del mito del diluvio universale, secondo la quale il mondo presente sarebbe stato ricreato per la quinta volta a seguito di questa spaventosa inondazione.
Gli dèi erano centinaia e ciascuno di essi svolgeva un ruolo ben preciso all’interno della vita dei Maya: c’era il dio della pioggia, il dio del frumento, il dio delle api… Tuttavia gli dèi maya non erano perfetti e, come tutti gli esseri viventi, necessitavano di nutrirsi: se il raccolto era scarso, se si manifestava una malattia o se avveniva una qualsiasi sciagura naturale, era perché gli dèi non erano soddisfatti, e allora bisognava propiziarseli. Come? Naturalmente con dei sacrifici umani, abitudine comune anche agli Aztechi e alla maggior parte delle popolazioni antiche, che venivano svolti con delle complesse e austere cerimonie in cui il malcapitato veniva onorato e dipinto prima di essere sacrificato e di avere il suo sangue donato agli dèi.
La più grande opera dei Maya furono senza dubbio i loro calendari, ben tre: il primo, detto haab, divideva l’anno in diciotto mesi da venti giorni ciascuno, più cinque giorni aggiuntivi chiamati uayeb, considerati sfortunati (arrivando così esattamente a 365); il secondo, tzolkin, era un calendario da 260 giorni la cui funzione rimane tuttora ignota agli storici; il terzo calcolava invece il numero di giorni a partire dall’inizio dell’era maya, spingendosi però ben più indietro nel tempo rispetto alla loro comparsa come popolo, arrivando fino al 3000 a.C., forse la data in cui secondo loro il mondo aveva avuto origine. Il calendario era strettamente legato alla riverenza che i Maya avevano per gli dèi: se essi fossero stati insoddisfatti, se non avessero ricevuto le preghiere e i sacrifici al momento opportuno, avrebbero potuto facilmente mettere fine al mondo.
Articolo a cura di: Elisa Matta