Giovani: tra lauree “inutili” e disoccupazione
L’economia digitale sta radicalmente cambiando il mondo del lavoro: essa pone l’attenzione su tutte quelle nuove professioni a livello tecnologico e ad alto valore aggiunto, rendendo ormai desuete quelle mansioni che oggi si possono automatizzare o che non servono più.

In questo ambito emerge un paradosso: difatti, all’avanzare della digitalizzazione, si accompagna parallelamente un alto tasso di disoccupazione che si riscontra, particolarmente, nei giovani e le imprese faticano a trovare risorse qualificate. Questo fenomeno è più comunemente chiamato come skill mismatch, che consiste nella mancata corrispondenza tra le competenze ricercate dai datori di lavoro e quelle possedute dai singoli.
Uno studio BCG ha reso noto come la pandemia Covid-19 abbia aggravato il problema riducendo la produttività dal 6% all’11% e portando il PIL non realizzato a 18trilioni di dollari entro il 2025. In Italia, secondo i dati Istat, il tasso di disoccupazione giovanile ha superato la soglia del 30%. Il dato oggettivo è la presenza di un basso numero di laureati i quali, alle volte, servono anche poco. Evidente è la differenza tra il nostro e gli altri Paesi Europei: in Germania, la disoccupazione dei laureati tedeschi nella fascia d’età che va dai 25-39 anni oscilla tra il 2 e il 4%; in Italia tra l’8 e il 13%.
Secondo l’economista Massimo Anelli questa situazione è il frutto di scelte sbagliate e informazioni inadeguate sugli esiti lavorativi e retributivi delle varie facoltà. In sostanza, l’informazione generale genera una scelta poco consapevole. Emerge, dunque, una formazione che non offre le competenze richieste nel mercato del lavoro e un’economia che non crea posti di lavoro corrispondenti alle esigenze degli individui.
Negli ultimi anni, i profili più richiesti nell’ambito lavorativo sono quelli in grado di colmare quelle competenze necessarie a rimanere al passo con la trasformazione digitale. L’Italia si trova agli ultimi posti in Europa per quanto riguarda le infrastrutture digitali. Circa il 38% di offerte nel campo dello sviluppo di software, con picchi del 65% per ingegneri ed esperti di intelligenza artificiale, non trova profili e oltre il 3% di queste figure professionali vengono importate all’estero.
Ad oggi, le lauree che rendono di più sono: economia e management, giurisprudenza, medicina e ingegneria. Un laureato in scienze umanistiche ha più probabilità di rimanere precario a differenza di chi si laurea in economia, la quale laurea permette di ottenere rendimenti di addirittura il doppio rispetto ai precedenti.
In che modo si potrebbe ovviare al problema? Come suggerito da Anelli, bisognerebbe realizzare una scheda pubblica di ogni singola facoltà con informazioni specifiche inerenti al reddito atteso, portando così la scelta universitaria a criteri oggettivi di rendimento economico futuro. Ai giovani, dunque, è consigliato adattarsi alle nuove esigenze imposte dalla società, essere flessibili e potenzialmente pronti ad esercitare qualsiasi attività. Ciò che è richiesto, in sostanza, è la predisposizione al cambiamento.
Articolo a cura di: Marica Cuppari