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G20 e Cop26 saranno uno specchietto per le allodole?

Sebbene la conferenza sul clima di Glasgow non si sia ancora conclusa, i primi giorni di apertura dei lavori e l’appena concluso G20 a Roma, ci consentono di trarre delle prime – si auspica in divenire – riflessioni.



I media italiani, nello specifico, dipingono l’incontro tenutosi alla “Nuvola” di Roma come un incontestabile successo, che ha incoronato il Premier Draghi come leader indiscusso della mediazione internazionale, capace di elevare l’Italia a traino della politica internazionale. Sebbene l’azione del PdC sia stata ineccepibile nell’interfacciarsi con le grandi personalità dei venti paesi più sviluppati al mondo, possiamo ritenerci soddisfatti dei risultati ottenuti in tale sede? La politica del multilateralismo è certamente l’unica soluzione credibile per superare efficacemente la crisi climatica – lungi da me affermare il contrario – tuttavia, non sarebbe forse utile concentrarsi, oltre che sull’abilità del Premier di gestire un contesto delicato quale quello degli affari esteri – siamo giunti al punto di esserne sino a tal grado esterrefatti? – su ciò che concretamente si è deliberato dopo un incontro di tale portata?


A dir la verità, non molto: i grandi attori della politica globale si sono formalmente impegnati a dispiegare le proprie forze nella lotta alle tragiche conseguenze del cambiamento climatico, ribadendo l’obbiettivo di contenere il riscaldamento globale entro la temperatura di 1,5 gradi (già delineato con gli Accordi di Parigi nel 2015) e di abbassare, sino ad eliminare entro il 2050, le emissioni nette di gas serra. Eppure, anche solo questi semplici traguardi sembrano non accogliere una reazione unanime da parte dei leader del mondo: Russia e Cina, le due grandi assenti dell’evento, comunicano in videoconferenza una data piuttosto incerta, che dovrebbe aggirarsi intorno al 2060; solo pochi giorni dopo l’India si mostra orientata, nel corso della Cop26, addirittura al 2070.



Sempre nel corso della Cop26, gli interventi del presidente statunitense Joe Biden si mostrano promettenti, specialmente in vista di un alleggerimento dei dazi su acciaio e alluminio e, soprattutto, della riapertura delle negoziazioni fra US e UE, dopo la politica isolazionista trumpiana. Biden afferma la ferma volontà degli Stati Uniti di modernizzarsi, divenendo, dopo la essere stati la più grande economia globale, anche quella più innovativa nella transizione green. Altrettanto attento alla tematica si mostra il Primo Ministro inglese Boris Johnson, in una certa misura host dell’evento, che rimarca più di ogni altra cosa i fondi a nostra disposizione per evitare il disastro climatico, “Decine di trilioni”, a suo dire. Agguerrito addirittura, il Principe Carlo, erede al trono britannico – presente nelle veci della Regina, costretta al riposo dalla sua équipe medica – che ritiene fondamentale assumere una “…Disposizione di spirito bellica, da ultima spiaggia” in relazione alla sfida dei cambiamenti climatici.



Insomma, pare che sia finalmente diffusa (o quasi) l’idea che ad essere tenuto in considerazione non debba essere solo l’immediato presente, ma anche il futuro, nell’ottica di una politica lungimirante che sappia dar spazio anche alle prossime generazioni, garantendo loro pari opportunità rispetto a quelle attuali e non negando, dunque, quello che comincia a definirsi come un “diritto” all’ambiente. D’altro canto, proprio le nuove generazioni, la cui voce è sintetizzata dalla figura chiave dell’attivista Greta Thunberg, non sembrano affatto soddisfatte di quanto sino ad ora concluso attraverso i recenti incontri istituzionali. La giovane attivista si fa portavoce di richieste urgenti, sostenendo sia determinante agire “Non il prossimo anno. Non il prossimo mese. Adesso”. Denotando, inoltre, come il tempo a nostra disposizione si stia esaurendo molto più velocemente di quanto sembri. Nel commentare la recente notizia secondo la quale i leader mondiali potrebbero – differentemente da quanto sostenuto durante il G20 – abbandonare l’obbiettivo dei 1,5 gradi, Thunberg vede la finzione della politica odierna, provvista dei beni necessari per agire, ma purtuttavia incapace di farlo.


Non resta altro che chiedersi, la Cop26 sarà davvero il momento d’avvio di una politica green globale o, banalmente, uno specchietto per le allodole?


Articolo a cura di: Antonino Palumbo



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