Film degli anni ‘90 che devi assolutamente recuperare
Siamo bombardati ogni secondo da nuovi attori, nuove saghe, nuovi film che hanno visto tutti e dobbiamo vedere anche noi. Se vuoi staccare un attimo la spina e recuperare qualche film cult della fine dello scorso secolo ti consiglio di cominciare da questi due film iconici:

Good Will Hunting
Il film del ‘97 presenta un cast stellare - Robin Williams e due giovanissimi Matt Damon e Ben Affleck tra i personaggi principali - e innumerevoli oscar a suo nome.
Il protagonista è un ragazzo come tanti (o così pare) cresciuto in una zona violenta e povera, che per sopravvivere ha imparato presto a non mostrare le proprie debolezze. Quando non lavora come inserviente in una scuola o è chiamato a rispondere di qualche reato minore, Will spende il suo tempo in giri a vuoto per la città, con gli amici di sempre del quartiere.
Ma Will Hunting non è un ragazzo come tanti, ha una memoria fotografica ed un talento innato e sconosciuto a tutti per qualsiasi materia abbia a che fare con i numeri. La sua nuova vita comincia quando si ferma per caso a risolvere un problema su una lavagna della scuola in cui lavora: scoprirà successivamente da un professore - suo nuovo mentore - di aver risolto uno dei più difficili enigmi della storia. è solo grazie ad una ragazza, che non potrebbe essere più diversa da lui, ed al suo nuovo terapeuta (interpretato da Robin WIlliams) che riuscirà a lasciarsi il passato alle spalle e imparare non solo a sfruttare il suo dono, ma in primis a vivere a pieno la sua vita, che non riusciva a immaginare fuori dalle strade in cui è cresciuto.
Will butta le persone fuori dalla sua vita prima che ci mettano piede per paura che lo possano abbandonare, ma la verità è che ha bisogno di qualcuno che creda in lui prima che egli possa credere in sé stesso.
Morale della favola? Essere stati feriti non significa doversi nascondere o attaccare per primi. Quando a pezzi siamo più autentici e di un’imperfezione magnifica, ce lo insegna l’arte giapponese del “kintsugi” letteralmente “riparare con l’oro”. Si tratta dell’utilizzo di oro liquido per riparare oggetti di ceramica che ci comunica che è vero siamo fragili, ma dalle nostre ferite ed imperfezioni può nascere una forma più preziosa e originale di noi.
“We get to choose who we let into our weird little worlds.”

Fight Club
La pellicola di fine anni ‘90 è diretta da David Fincher, ispirata al romanzo di Chuck Palahniuk e annovera fra gli attori principali Brad Pitt, Edward Norton, Helena Bonham Carter e Jared Leto.
Il protagonista, di cui non viene mai pronunciato il nome, è lo stereotipo di un uomo succube della società moderna: depresso, frustrato, ansioso, vittima del consumismo. La sua vita prosegue circolare, in una ripetitiva, immutabile routine, fino a che qualcosa non spezza il cerchio. Solo allora il protagonista si farà padrone della propria vita, prenderà in mano ciò che ne resta - o meglio non resta - e smetterà una volta per tutte di essere spettatore.
Quel momento è rappresentato dall’incontro fra il nostro uomo d’affari e Tyler Durden, che avviene a bordo di un aereo. Tyler è l’opposto del protagonista, ed è tutto ciò che egli vorrebbe essere: affascinante, libero, anarchico, spontaneo.
Dopo che il protagonista perde ogni cosa materiale - la casa, il lavoro, i soldi - si arricchirà spiritualmente grazie all’inaspettata amicizia con Tyler. Insieme i due fondano il “Fight Club”, un gruppo - come recita il nome stesso - di combattimento, di un combattimento gli uni contro gli altri che è solo spostamento della rabbia verso una società senza corpo da prendere a pugni. Il Fight Club ha poche semplici regole -come afferma Tyler nella pellicola - e la prima è: “non parlate mai del Fight Club”.
Un film con tanti significati latenti, contorto, intrecciato. Che appare piuttosto lineare, finché tutto non si arrotola su sé stesso nel finale, con un gran colpo di scena. La pellicola si fa denuncia sociale e portavoce di una generazione che non avendo più guerre da combattere si ritrova a combattere una guerra contro sé stessa. Denuncia il consumismo, il capitalismo, il mito irrealistico della meritocrazia e l’intera società contemporanea con il suo abitante perfetto: il cliente medio la cui massima aspirazione è quella di essere premiato come miglior persona mediocre. Ma la critica, questa volta in modo più sottile, va anche all’estremo opposto del dissenso, dell’anarchia e della protesta violenta, che non porta infine ai risultati sperati.
«You are not your job, you're not how much money you have in the bank. You are not the car you drive. You're not the contents of your wallet. You are not your fucking khakis. You are all singing, all dancing crap of the world.»

Articolo a cura di: Arianna Roetta