Evoluzione del diritto di famiglia: dal patriarcato ai giorni nostri
La famiglia, come è noto, è un embrione della società. In famiglia vengono prese decisioni che riguardano l’economia, l’istruzione e via discorrendo. Il diritto ha il dovere di legiferare sui rapporti interpersonali, come quelli familiari.

Durante il regime fascista, la famiglia serviva come instrumentum regni, poiché i genitori avevano il dovere di educare ed istruire la prole secondo il “sentimento nazionale fascista” (art. 147 c.c.).
La Costituzione italiana dedica alla famiglia ed al matrimonio gli articoli 29, 30 e 31, per provare a dare un cambio di rotta rispetto alla visione antropologica ed etica della famiglia degli anni fascisti. La famiglia viene vista come un embrione della società, in cui tutti i componenti sono titolari di diritti ed interessi da tutelare. L’articolo 29 della Costituzione disciplina la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, e il matrimonio viene connotato dalla uguaglianza sia morale che giuridica dei coniugi. L’articolo 30 prevede i doveri ed i diritti di mantenimento, istruzione ed educazione dei genitori nei confronti dei figli; mentre, l’articolo 31 ci permette di comprendere quanto sia importante la famiglia all’interno della nostra Repubblica e, di fatti, viene disposto che la stessa Repubblica agevola con misure economiche la formazione della famiglia proteggendo maternità, infanzia e gioventù.
Tutte queste norme programmatiche meritano una seria concretizzazione all’interno del codice civile. Il codice civile, però, risale al 1942 ed è quindi antecedente alla entrata in vigore della Costituzione. Il codice del ’42 concepiva una famiglia basata sulla subordinazione della moglie rispetto al marito, tanto nei rapporti personali quanto in quelli economici. Spettava al pater familias prendere le decisioni e stabilire l’indirizzo familiare. Altresì, a fondamento delle norme del codice vi era una sostanziale discriminazione dei figli nati fuori del matrimonio (cd. figli naturali), rispetto ai figli legittimi. Inoltre il matrimonio era considerato sacro e quindi indissolubile.
Un primo passo verso la evoluzione si ebbe nel 1970, quando fu approvata la Legge n. 898. La legge sul divorzio fu osteggiata dalla Democrazia Cristiana (DC), un po' troppo asservita alle pressioni vaticane, e fu quindi promosso un referendum abrogativo nel 1974, per provare ad eliminare la legge che consentiva il divorzio. La maggioranza degli italiani, però, si espresse in senso negativo per la abrogazione.
La vera e propria riforma del diritto di famiglia si ebbe nel 1975 con la legge n.151, che modificò vari articoli per far sì che il codice rispettasse i principi ispiratori della nostra Costituzione. Si passa dalla famiglia patriarcale a quella attuale, definita nucleare, nella quale non esiste più la vetusta figura del pater familias.
Per capire l’importanza di tale riforma, è utile fare un confronto tra alcuni articoli del codice civile pre e post riforma: gli articoli più significativi del diritto di famiglia sono il 143 ed il 144. Leggendo l’articolo 143, prima della riforma, si evinceva un obbligo, in capo al marito, di mantenimento della moglie e della prole, grazie alla propria professione, così a voler a priori escludere un contributo lavorativo della moglie. Nell’articolo 144 precedente, vi era la cd. “potestà maritale” in quanto la stessa disposizione così recitava: “il marito è il capo della famiglia; la moglie segue la condizione civile di lui, ne assume il cognome ed è obbligata ad accompagnarlo dovunque egli crede opportuno di fissare la residenza”.
Ad oggi, invece, nell’articolo 143 – oltre i diritti e i doveri dei coniugi di assistenza, fedeltà, collaborazione e coabitazione – è fondamentale sottolineare come si sia evoluto il terzo comma che, mentre prima prevedeva l’obbligo di mantenimento in capo al marito, oggi dispone che “entrambi i coniugi sono tenuti a contribuire” tramite lavoro professionale o casalingo al soddisfacimento dei bisogni familiari. Da tale modifica si notano grandi passi avanti, in quanto viene rivalutato anche il lavoro casalingo prestato dal coniuge che, eventualmente, sempre insieme all’altro, sceglie di non lavorare. Importante anche la riforma dell’articolo 144 del codice che attualmente dispone che entrambi i coniugi concordano tra di loro l’indirizzo della vita famigliare, nonché la residenza rispettando le esigenze di entrambi.
Notevole in entrambi le esemplificazioni l’evoluzione del diritto di famiglia. Grazie a questa riforma non è più ritenuta concepibile in Italia la figura del padre padrone, il quale decide tutto su tutti i componenti della famiglia. La riforma, inoltre, ha parificato totalmente nei diritti i figli naturali ed i legittimi, tanto che appare oramai anacronistica tale distinzione.
Il diritto ha l’obbligo di stare al passo con i tempi o addirittura di anticiparli. La nostra è una società democratica e – essendo la famiglia un embrione della società – allora anch’ essa dovrà nel suo piccolo rispettare i connotati democratici.
Il fil rouge tracciato dalla riforma del ’75 non si è ancora spezzato e ciò si è visto con la Legge n.76 del 2016 (Legge Cirinnà) che ha finalmente dato la possibilità alle coppie dello stesso sesso di legarsi in una unione civile. Sono tanti ancora gli step da realizzare affinché vi possa essere una totale equiparazione tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali, ma siamo sulla buona strada.
Articolo a cura di: Andrea Battaglia