Ergastolo ostativo: uno schiaffo alla Costituzione?
L’ergastolo è la massima pena riconosciuta nel nostro Paese e consiste nella detenzione perpetua, inflitta a coloro che commettono delitti particolarmente gravi. L’art. 22 del codice penale prevede che il soggetto risieda in uno degli stabilimenti consoni, con l’obbligo del lavoro e con l’imposizione dell’isolamento notturno.
Anche se l’ergastolo è definito “carcere a vita”, non sempre costringe il condannato a non vedere più la luce del sole. Questo dipende dal tipo di ergastolo che viene inflitto. Distinguiamo l’ergastolo ordinario da quello ostativo: la differenza tra i due risiede nel fatto che, se nel primo caso il detenuto può godere di misure premiali e particolari benefici, nel secondo caso questi sono limitati dal contenuto previsto dall’art. 4-bis dell’ordinamento penitenziario. Esso prevede che l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, esclusa la liberazione anticipata, possono essere concessi ai detenuti e internati solo nei casi in cui i soggetti collaborino con la giustizia.

Oltre ai reati di stampo mafioso, l’articolo interessa anche casi di pedopornofilia, prostituzione minorile, terrorismo e altri reati di particolare gravità. A questi detenuti i benefici non sono vietati in modo assoluto ma, a differenza di coloro che sono condannati all’ergastolo ordinario, sono subordinati alla collaborazione con la giustizia ex art. 58-ter.
Le forti limitazioni previste dall’art. 4-bis o.p., velatamente, fanno intendere che, se non in casi eccezionali in cui i soggetti decidano di affiancarsi alla giustizia, l’ergastolo ostativo possa coincidere con la vita intera dei condannati destinandoli alla detenzione perpetua. Proprio questo nodo ha sollevato delle questioni di costituzionalità. Secondo alcuni la disciplina contrasta con l’art. 27 della nostra Costituzione che, al comma 3, prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e che attribuisce alla pena la funzione rieducativa. Per di più, l’ergastolo ostativo andrebbe contro il principio di uguaglianza, in quanto discriminerebbe i condannati che decidano di non collaborare per svariati motivi, considerandoli un pericolo per la società e come un possibile collegamento con la criminalità.
Le prime due pronunce (sentenze nn. 264/1974 e 135/2003) hanno difeso l’ergastolo ostativo rigettando le questioni di costituzionalità e ritenendo che la disciplina prevista dall’art. 4- bis non precluda in maniera assoluta l’ammissione al beneficio, in quanto il condannato può in qualsiasi momento cambiare la propria scelta.
Determinante è stata la pronuncia della CEDU del 13/06/2019. Questa pronuncia riguarda il caso di Marcello Viola, cittadino italiano condannato dalla corte d’Assise di Palmi, per i reati di associazione mafiosa, omicidio, sequestro di persona. A Viola era stato precluso il beneficio penitenziario poiché, nonostante avesse tenuto una buona condotta in carcere, non era stata accertata la sua collaborazione con la giustizia. Secondo la Corte Europea, alla quale Viola aveva denunciato la violazione degli artt. 3 e 8 della CEDU riguardanti rispettivamente il divieto di trattamenti inumani e il diritto al rispetto della vita privata e familiare, la pena dell’ergastolo ostativo inflitta al ricorrente “limita eccessivamente la prospettiva di liberazione dell’interessato e la possibilità di un riesame” della pena stessa. Ciò in quanto, se è vero che la legge italiana offre al condannato la scelta di collaborare o meno con la giustizia, con conseguente godimento dei benefici penitenziari subordinati alla collaborazione, la libertà di questa scelta appare dubitabile. Del resto, ci si potrebbe trovare anche di fronte alla situazione in cui il condannato collabora con le autorità senza che il suo comportamento rispecchi una sua effettiva dissociazione dall’ambiente criminale. Dunque, la Corte conclude affermando che la lotta contro le organizzazioni criminali non può giustificare deroghe alle disposizioni dell’art. 3 della Convenzione, che vieta assolutamente le pene inumane e degradanti.
Nella speranza di ottenere un positivo riscontro, è intervenuta la Consulta con la recente ordinanza firmata dal giudice Nicolò Zanon, con la quale si intende formalizzare la richiesta al Parlamento di modificare le attuali regole nei prossimi 12 mesi. Attualmente queste regole rendono impossibile ottenere la liberazione condizionale se il mafioso, anche dopo 26 anni di pena scontata, non collabora con la giustizia. Secondo Zanon, infatti, l’incompatibilità dell’ergastolo ostativo con la Costituzione si manifesta nel carattere assoluto di questa presunzione. Questo è quanto sottolineato nella motivazione depositata lo scorso 11 maggio, con cui la Corte ha stabilito che spetta comunque al Parlamento modificare la disciplina vigente riguardante l’ergastolo ostativo. Competerà poi alla discrezionalità legislativa decidere quali ulteriori scelte possono accompagnare l’eliminazione della collaborazione come unico strumento per accedere alla liberazione condizionale.
Pertanto, la Corte ha ritenuto necessario rinviare il giudizio e fissare una nuova discussione per il prossimo 10 maggio 2022.
Articolo a cura di: Marica Cuppari