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Enemy: e se fossi proprio tu il nemico?

Figura atavica, il nemico permea l’esistenza umana sin dallo stato primordiale, esperendo un’evoluzione graduale nella forma e nella sostanza. Tale entità ancestrale, si contrappone, per definizione, al nostro Io, minacciandone l’integrità. Cosa accadrebbe, tuttavia, se fossimo proprio noi il nostro più acerrimo nemico?



Enemy, sesta pellicola del sublime Denis Villeneuve – liberamente ispirata all’ “Uomo duplicato” del premio Nobel per la letteratura Josè Saramago – si interroga segretamente riguardo questo dilemma, rivelando la sua vera indole solo nell’enigmatico finale. Il criptico lungometraggio di Villeneuve, che giova dell’interpretazione di Jake Gyllenhaal, mira ad ingannare e depistare a più riprese lo spettatore, ignaro del reale intento del regista, presentando la suggestiva contrapposizione fra Adam Bell e Anthony Claire, due iconiche facce della stessa medaglia. Adam, il cui nome appare evidentemente ispirato al testo Biblico, è una personalità titubante e incerta, particolarmente introversa, un professore universitario di storia che descrive, con un monologo circa le dittature, lo stesso stato in cui, inconsciamente, versa:


«Control, it’s all about control. Every dictatorship has one obsession and that’s it. In ancient Rome they gave the people bread and circuses. They kept population busy with entertainment but other dictatorships used other strategies to control ideas, the knowledge… how do they do that? Lower education, they limit culture, censor information, they censor any means of individual expression and it’s important to remember this, that this is a pattern, that repeats itself throughout history.»


Adam descrive prima la tecnica squisitamente latina del “Panem et circenses”, sfruttata dagli antichi romani per distrarre la popolazione, mentre in seguito le tattiche adottate dalle moderne dittature, che limitano la libertà d’informazione e d’espressione. Non si accorge ancora, tuttavia, dell’amara ironia che lo avvolge. Presto Adam scoprirà, grazie ad un film, l’esistenza di Anthony, un attore le cui fattezze risultano identiche a quelle del professore di storia. Villeneuve presenta, dunque, l’apparente sosia di Adam, un uomo audace, sfrontato e decisamente impulsivo, tutto ciò a cui il professor Bell ha rinunciato tempo addietro. Lo scontro è inevitabile: benché inizialmente la curiosità regni sovrana, segue immediatamente il desiderio di sopraffazione dell’alter-ego e la lotta per l’autoaffermazione.


Villeneuve cala il pubblico in un’atmosfera noir sibillina e inquietante, caratterizzata dal color seppia predominante sulla scena e una colonna sonora volutamente disarmonica, che accompagna lo spettatore, e i due protagonisti, in una Toronto a tratti spettrale. Il lungometraggio evidenzia alcuni indizi determinanti lungo il suo corso, come ad esempio la figura simbolica e ricorrente del ragno, proponendo un ardito riferimento alla scultura “Maman” di Louise Bourgeois, che si sostanzia in un gigantesco ragno che sovrasta la città. L’opera rivela, inoltre, un’aura di pericolo incombente che fatica a dissolversi. In questo scenario, una volta scopertisi, l’uno non può fare a meno del suo doppelgänger, avviando un rapporto simbiotico che si potrà concludere definitivamente solo con la sconfitta di Adam o Anthony.



La pellicola affonda le sue radici nel prologo che recita:


«Chaos is order yet undeciphered.»


Il lungometraggio attende solo d’esser decifrato: è il caos la causa prima del dissidio interiore che tormenta la psiche del protagonista; sebbene il pubblico possa osservarne due manifestazioni fisiche, Adam e Anthony sono solo due istanze intrapsichiche appartenenti alla stessa mente. Avvalendoci della psicanalisi freudiana possiamo ora districare la tela di ragno che avviluppa il protagonista e tutto ciò che lo circonda. Adam, manifestazione dell’Io, ha rinunciato alle sue aspirazioni e i suoi desideri più reconditi, scegliendo uno stile di vita equilibrato, ma spesso insoddisfacente. Anthony, invece, rappresenta L’Es scacciato dall’Io, è espressione diretta della brama e delle fantasie rifiutate dal sommesso professor Bell, abbandonandosi agli istinti primordiali, piuttosto che alla moderazione. Il ragno, infine, è metafora non soltanto di una donna possessiva, ma più generalmente dei tradizionali canoni imposti dalla società; è il Super-io che cerca di soggiogare l’Es e le sue ambizioni, un’entità opprimente e repressiva. Adam, vincitore del conflitto psicoanalitico, simboleggia un Io mediatore, capace di mediare le pulsioni e le esigenze di una società e delle figure femminili percepite come estremamente invasive dal protagonista.


Risolto il conflitto, Adam appare in tutto e per tutto la personalità vincente, eppure, l’opera di Villeneuve non smette di stupire e insegnare: il protagonista sembra intenzionato a ricadere nelle vecchie abitudini, recandosi nel club sotterraneo che appariva nel prologo, per assistere ad uno spettacolo erotico, ma prima di lasciare la propria abitazione, la sua compagna si trasforma in un aracnide. Come recita il titolo della pellicola con la quale Adam scopre Anthony:


«Where there's a will there's a way.»


Per non tornare ciclicamente al punto di partenza, è necessario un reale cambiamento interiore, individuando i nostri autentici desideri e le nostre priorità.


Articolo a cura di: Antonino Palumbo



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