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Eliminare la plastica dagli oceani: The Ocean Array Cleanup

Ogni anno le acque vengono inquinate da milioni di tonnellate di detriti. I pesci hanno coinquilini inanimati che rischiano di diventare i principali abitanti della loro casa entro il 2050, quando gli oceani saranno presumibilmente fatti soprattutto di plastica. Il problema peggiore è dato dalle microplastiche: piccolissimi pezzettini in cui i grandi rifiuti si trasformano dopo anni di galleggiamento sotto i raggi solari. Se è semplice l’intercettazione e la raccolta di un rifiuto macroscopico, non lo è quella delle microplastiche che, leggere e lunghe qualche millimetro, affondano fino ad arrivare nei fondali dove recuperarle diventa difficilissimo, se non impossibile.



Due sono i destini cui la plastica può andare incontro una volta finita in mare: galleggiare fino alla completa degradazione (20 anni per un sacchetto, 200 per una cannuccia, 450 per una bottiglia e circa 600 per una rete da pesca), oppure diventare il pranzo di balene, capodogli e pesci abbastanza grandi da ingurgitare chili di rifiuti. Ma in realtà, per essere vittime della plastica non serve essere dotati di dimensioni notevoli. Le immagini di piccole tartarughe incastrate nell’imballaggio delle lattine dibirra, dei pesciolini che fanno delle bottiglie il loro rifugio e del cavalluccio marino abbracciato ad un cotton fioc sono diventate il simbolo dell’inquinamento acquatico, insieme alle fotografie di cetacei e delfini spiaggiati, uccisi dalla tossicità della spazzatura che avevano inghiottito.


Un terzo destino, però, lo ha la plastica. È quello di essere catturata dalla geniale macchina, ideata da un ragazzo olandese, The Ocean Array Cleanup. Lui si chiama Boyan Slat e nel 2013, appena diciassettenne, ebbe l’idea di creare una piattaforma galleggiante che permettesse alle acque di auto pulirsi. Questo congegno lavora sfruttando l’energia solare e quella delle correnti oceaniche che per prime hanno contribuito alla formazione di enormi isole di plastica, e lo fa con impatto ambientale minimo. Nella mente di Boyan, la lampadina si accese quando durante una vacanza in Grecia notò che nei fondali vi era più plastica che pesci. Tornato a casa, si dedicò a quella che è diventata la missione della sua vita: pulire gli oceani. Nel 2013 fondò l’organizzazione non governativa ‘Ocean Cleanup’, oggi formata da 80 unità tra biologi e ingegneri, e raccolse in appena un anno 2.2 milioni di dollari. Così nacque The Ocean Array Cleanup: un tubo di polietilene con diametro di 1.2 metri e lunghezza di 600, che rimane in superficie formando una U e può raccogliere rifiuti fino a 3 metri di profondità, dalle microplastiche a quelli più voluminosi. Al di sotto di esso pende una sorta di imbuto che cattura gli oggetti spinti dalle correnti per convogliarli in un sistema di ritenzione. La spazzatura viene portata a terra una volta al mese da una barca. Questa prima piattaforma, chiamata anche System 001, è stata lanciata per la prima volta l’8 settembre 2018 da San Francisco verso il Nord Pacifico, in cui galleggia l’isola di plastica più grande del mondo, il Pacific Trash Vortex. Questa distesa è composta da almeno 79.000 tonnellate di plastica e soprattutto da rifiuti grandi, di cui il 90% è nei primi 5 metri di profondità. L’obiettivo della Ocean Cleanup, che si autofinanzia vendendo la plastica accumulata ad alcune aziende che la

destinano a prodotti ecosostenibili, è ridurre l’inquinamento marino del 90% entro il 2040, tuttavia questo progetto non deve distoglierci dall’evitare che altra plastica finisca in mare.


Prevenire è sempre meglio che curare, non costa niente e protegge gli oceani più di qualsiasi pulizia. Nel frattempo, la missione di Boyan Slat è andata avanti: la prima piattaforma è stata raggiunta dal System 001/B nel giugno 2019 e nel 2021 verrà messo in viaggio il System 002, più evoluto e piccolo, ma che permetterà la pulizia su larga scala. Che dire, se Greta Thumberg non è contenta del nostro comportamento nei riguardi dell’ambiente, di certo lo sarà di questo giovane e brillante ambientalista, a cui auguriamo di raggiungere l’ambizioso scopo entro la data stabilita, non solo per la sua soddisfazione personale, ma anche per la salute del pianeta.


Articolo a cura di: Mariangela Pirari



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