EDITORIALE - Natale: presepisti o alberisti? Due tradizioni a confronto
Aggiornamento: 17 mar 2021
Ogni anno il periodo natalizio ci ripropone la perenne disputa tra presepisti e alberisti. La più profonda distinzione tra le due categorie la dobbiamo al filosofo napoletano Luciano De Crescenzo che definisce i primi “uomini d’amore” che mettono al primo posto della scala valoriale appunto l’amore e la poesia mentre i secondi sono "uomini di libertà" attenti alla forma, al denaro e al potere, ed aggiunge: «l’albero è bello quando è finito, quando tutte le luci sono accese; il presepe è bello sempre dal momento in cui cominci a pensarlo, ad immaginarlo».

Lasciando ad ognuno la libertà di scegliere in quale delle due categorie accasarsi o, con posizionamento imparziale, di ergersi a fautore di entrambe le simbologie andiamo a curiosare sul significato, sulla nascita ed evoluzione di queste due affascinanti celebrità del nostro tempo ma con le radici ben salde in un passato più o meno remoto.
Risale infatti al 1223 la prima rappresentazione presepiale attribuita a San Francesco d’Assisi che di ritorno dal viaggio a Betlemme, dove aveva trascorso il Natale precedente, chiese a Papa Onorio III di poter ripetere le celebrazioni l’anno successivo. Così non potendo proporre in chiesa tale rappresentazione, il poverello d’Assisi inscenò la rappresentazione all’aperto nel paese di Greccio dove, nel 2023, si festeggeranno gli 800 anni della nascita del presepe con diverse iniziative che il comitato, costituitosi per l’evento, ha già cominciato ad organizzare.
L’albero natalizio invece è sicuramente una tradizione di origine pagana che si fa risalire al 1441 quando in Estonia e precisamente nella città di Tallinn fu allestito un grande abete nella piazza del Municipio intorno al quale baldi giovani e dolci fanciulle danzavano inscenando un rito propiziatorio in cerca dell’anima gemella.
In realtà entrambe le usanze hanno origini ancora più antiche. Il presepe nasce già nei primi secoli d.C. quando i primi cristiani per onorare e tramandare la dottrina religiosa usavano dipingere clandestinamente, nelle catacombe romane, le scene della nascita di Cristo per poi rappresentarla nelle prime chiese quando il cristianesimo ottenne la libertà di poter essere praticato. Nei primi anni del 1200 comparvero le prime statue.
Le radici della tradizione pagana risalgono invece alla cultura celtica dove secondo i druidi, gli antichi sacerdoti dei Celti, l’abete era depositario di poteri soprannaturali poiché, rimanendo sempreverde, era diventato il simbolo di lunga vita. Per questo
motivo proprio nel periodo invernale alcuni abeti venivano tagliati ed addobbati per propiziare il favore degli dei. Sembra che anche i Vichinghi seguissero il culto dell’abete, in particolare della sua variante rossa, poiché considerato custode di poteri magici. Questo veniva tagliato e portato in casa dove veniva decorato con frutti per propiziare la fecondità della successiva stagione primaverile. In particolare sembra che l’abete fosse sacro ad Odino il potente re dei Germani. Ma anche i romani usavano ornare le loro case con rami di pino durante le Calende di gennaio.
C’è da dire che il presepe come lo intendiamo oggi è figlio della tradizione napoletana che a cavallo tra il XVII e XVIII secolo introdusse nella rappresentazione i personaggi immortalati durante la vita di tutti i giorni, intenti a svolgere la propria attività lavorativa dopo che, nel 1283, Arnolfo di Cambio aveva realizzato il primo presepe completo con otto statuine di legno che rappresentavano oltre alla natività i tre re Magi.
Allo stesso modo la paternità dell’albero “moderno” è solitamente attribuita al socio dell’inventore Thomas Edison lo statunitense Edward H. Johnson che nel 1885 ornò l’albero della propria abitazione con luci elettriche. In Italia la tradizione giunse nella metà del XIX secolo ad opera della regina Margherita che addobbò l’albero (senza luci elettriche) al Quirinale promuovendone la diffusione in tutto il paese.
Ufficialmente, dal 1982, albero e presepe finalmente si “incontrano”... È infatti Papa Giovanni Paolo II che in quell’anno fa addobbare un albero ricevuto in dono da un suo conterraneo, un contadino polacco, al centro di Piazza San Pietro. Ogni anno da quel giorno una regione europea dona al Santo Padre un gigantesco abete proveniente dai propri boschi che viene issato nel centro della piazza accanto al presepe. L’albero ha così perso la sua “paganità” e nonostante la sua storia rimanga ovviamente inalterata oggi nell’accezione cristiana evoca l’ “albero della vita” posto al centro dell’eden e l’albero della croce sotto le cui fronde i fedeli depositano i doni destinati alle persone più povere a cui ogni credente deve sempre rivolgere lo sguardo.
È forse questo aspetto di accettazione e rivalutazione dei simboli dell’altrui Credo il risultato più interessante di questo binomio natalizio ormai inscindibile, un risultato che se esteso ad altri ambiti probabilmente potrebbe rendere più bella la vita in questo mondo tanto martoriato quanto affascinante ed imprevedibile. E non mi riferisco alla diatriba tra “pandoristi e panettonisti” o... forse si!?
Articolo a cura di: Antonino Marino